A Vico di Capitanata nel 1836 succedeva…
Una vicenda assai drammatica si visse in Italia meridionale già dagli inizi del secolo XIX di cui si ricorda l’epidemia di colera che sin dai primi giorni di agosto del 1805 imperversava a Genova e da qui si espanse poi in altre parti della penisola, ma non sul Gargano.
Oltre una trentina di anni dopo una situazione simile coinvolse prima una parte del Gargano nord e poi, poco a poco, tutti i vasti territori meridionali dalla Puglia alla Basilicata, dalla Campania alla Calabria. La situazione nell’Italia del sud non era, infatti, migliore. Allarme e prevenzione di diffusione della peste proveniente da Malta c’erano stati sin dal 1805 quando nella piccola isola mediterranea si verificarono, in oltre un mese, più di milleduecento decessi. Comunque, quel pericolo tanto temuto, soprattutto nella zona costiera della Sicilia, venne scongiurato.
Il triste primato della città dalla quale si diffuse il morbo del colera lo ebbe sicuramente Rodi Garganico.
Infatti, nel settembre del 1836, sopra un battello a vela di quarantaquattro tonnellate di proprietà di Pietro Russo, partito dal porticciolo della cittadina garganica il primo settembre con un carico di olio e di agrumi per il mercato triestino, un certo Vincenzo Russo fu colpito dai sintomi del ‘cholera morbus’ e dopo poco tempo morì sul veliero. A Venezia, il battello, appena arrivato, fu posto in quarantena e i responsabili della salute pubblica fecero fare l’autopsia sul cadavere del Russo. I medici, avendo riscontrato che la morte effettivamente era avvenuta a causa del colera asiatico, provvidero a far avvisare dell’accaduto, dalle persone sanitarie preposte, il Magistrato di Salute di Napoli.
Rientrati al Gargano, per tramite di un altro componente l’equipaggio che era infetto, il colera si diffuse a Rodi dall’11 settembre e il cordone sanitario, ritenuto di una qualche utilità, fu disposto soltanto dieci giorni dopo, anche perché gli Amministratori locali erano abbastanza restii a dare la notizia dello scoppio dell’epidemia per non allarmare la popolazione.
Ma il cordone sanitario, che comprendeva due linee concentriche vigilate da soldati armati, compresa quella più ampia che includeva i Comuni di Cagnano, Carpino, Ischitella, Vico e Peschici, non ebbe alcuna efficacia pur impedendo l’uscita dai rispettivi paesi di contadini e commercianti, in quanto l’infezione si diffondeva lo stesso. Ogni cittadino viveva isolato, nel terrore, rompendo di fatto amicizie, avendo intima paura di avere contatti con altre persone, a volte persino con congiunti.
A Vico il primo caso di colera è del 26 luglio 1836, giorno in cui morì Isabella di Monte, una contadina di 73 anni che, come è riferito in una nota che anticipa di oltre un mese lo scoppio del colera a Rodi, sembrava strano che fosse stata colpita una persona la quale, a quanto si sapeva, non era stata a contatto né con persone estranee all’ambiente familiare e neppure con stranieri. Parecchi nuclei familiari di possidenti si trasferirono frettolosamente in sontuosi ‘casini’ o in modeste casette di campagna i più poveri, pensando di sfuggire, invano, a qualsiasi, coinvolgimento.
Sono registrati anche altri nomi e dal giorno successivo sono riferiti i nomi di quattro-cinque persone decedute a causa del morbo. Soltanto il 6 ottobre 1836 ‘Il Giornale delle Due Sicilie’ ne diede notizia, quando l’epidemia si era diffusa anche a Napoli ed ormai aveva contagiato tutta la Campania, la Puglia ecc. Pur essendoci, a quei tempi, illustri medici quali Baculo, Raho ed altri, i rimedi della medicina erano inadeguati. Ad esempio, si pensava che fosse efficace immergere l’ammalato in una vasca da bagno piena di acqua gelata, che in realtà faceva aggravare le condizioni fisiche con una probabile e letale polmonite.
Fu nella città partenopea che, a trentotto anni di età, morì il poeta marchigiano Giacomo Leopardi il giorno 14 giugno 1837 e venne seppellito nella chiesa di San Vitale a Fuorigrotta. Contrariamente a quanto si potrebbe pensare la causa del suo decesso non derivò dal colera, bensì dall’ idropisia polmonare che debilitò il suo fisico gracile e malaticcio.
In un anno e mezzo a Vico di Capitanata furono contagiate 518 persone e ne morirono in totale 322. Furono tante e così frequenti le vittime che una ventina di sterratori, ingaggiati dall’ Amministrazione comunale vichese, nel cimitero di san Pietro scavavano fosse a turno pure di domenica, riscuotendo alla fine una paga giornaliera assai alta per l’ingrato compito che avevano voluto assumere per estrema necessità.
Nicola M. Basso
P.S. Ce la faremo! Certo, che ce la faremo, anche oggi, a superare queste grevi e drastiche giornate con tutte le conseguenze limitative sociali e crisi economica derivante come avvenne nel 1836-’37. Sconfiggeremo questo ‘nemico invisibile’ sorto all’improvviso con l’aiuto di validi ricercatori, medici, infermieri, volontari, governanti, farmacisti, carabinieri, poliziotti, finanzieri, sindaci, vigili urbani, vigili del fuoco, cittadini collaboranti e…..tanta buona fortuna, perché tutto passa in questo mondo.
Ma ricordiamoci che l’Essere umano da meno di un secolo sta sconvolgendo, seguendo il proprio pervicace egoismo, ogni aspetto della natura animale e vegetale. Ed è per questo che essa NATURA quando reagisce, ci punisce in modo globale. Appunto! Come avviene ora con l’invisibile invasione del ‘corona virus’ contro cui siamo costretti a combattere realmente.
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