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Crux fidelis…i versi che cantano la teologia della Croce

Settimana Santa a Vico del Gargano – Crux fidelis…i versi che cantano la teologia della Croce

Se il Miserere ha accompagnato, il cammino di preparazione, in attegiamento di penitenza,  in tutto il tempo di Quaresima, le Confraternite e l’intera comunità verso la Pasqua,  i versi  del Crux Fidelis… sono il preludio del trionfo della Croce sulla morte del peccato.

Al mattino del Venerdì  Santo le Confraternite sfilano con le loro processioni dell’Addolorata  e con il Cristo morto  per fare visita agli Altari della Reposizione, accompagnandosi mestamente con il canto del Miserere.  Lungo il percorso dall’ultima chiesa, nel rientro, improvvisamente   si assiste a un cambio di registro. Non più un canto mesto e lamentoso,  bensì un coro a due voci che intona  l’antico  inno del Crux Fidelis (VII sec. d.C.) molto conosciuto nel passato.   

Si ode il canto dei versi di un’apoteosi della Croce.  Una composizione poetica,  dove l’autore  ha voluto cantare le eccellenze e le glorie dell’albero della croce,   ricordando la sua unicità tra tutti gli alberi esistenti al mondo. “Croce fedele, tu sei l’unico albero nobile tra tutti gli altri, nessuna foresta ne genera uno simile per fiori, fronde e semi”.La ricchezza della Liturgia cattolica guida i fedeli alla meditazione e alla contemplazione dei sacri misteri della nostra Fede tramite partizioni temporali dell’Anno liturgico, nelle quali le particolarità rituali e l’uso di testi idonei cattura l’anima del fedele e la immerge particolarmente nel mistero che si celebra. I testi liturgici, per la maggior parte, derivano in particolar modo dai Salmi, in relazione ai quali i loro compositori si sono limitati a scegliere i testi più adatti al tempo liturgico occorrente e ad accostarli tra di loro.

Nel IV secolo  sant’Ambrogio, trasse dall’innodia della Chiesa Orientale spunto per elaborare secondo la sua la sua particolare sensibilità  composizioni poetiche, intonate in musica, di carattere strofico senza ritornello, cui si adatta sempre la stessa melodia. L’innovazione posta da Ambrogio si caratterizza per una struttura del testo abbastanza semplice e flessibile, molto vicina alla sensibilità popolare, cui infatti si rivolge con particolare attenzione.

Da sant’Ambrogio in poi  ogni Ora della divina Liturgia prevede un testo poetico, denominato “Inno”, nel quale la creatività umana e l’ispirazione spirituale si condensa in formule di perfezione formale ammirevole e di contenuto teologico profondo. Insomma, un testo poetico  elegante, che serva al contempo a fornire solido cibo al nostro intelletto e ad eccitare il sentimento, ovvero il gusto spirituale verso le cose sacre.

Le ultime due settimane di Quaresima, secondo la forma antica del Rito Romano, sono denominate “Tempo di Passione”; l’accento della Liturgia si sposta dall’aspetto intimamente penitenziale, che ha dominato nelle settimane precedenti, al diretto e doloroso riferimento alla Passione di Nostro Signore Gesù Cristo. Se nelle prime quattro settimane il cristiano è chiamato a vivere in atteggiamento di penitenza, come suggerito dalla figura di Cristo orante e penitente nei quaranta giorni solitari nel deserto, ora l’attenzione si sposta su Cristo paziente, sofferente per i nostri peccati, che a Gerusalemme prende sulle sue spalle la Croce per compiere la missione, Redentrice dell’umanità.

I lenti e ascetici inni di Quaresima (Ex more docti mystico, O sol salutis intimis, Audi benigne Conditor) cedono sovranamente il passo ai molto più intensi e impetuosi inni di Passione (Vexilla regis prodeunt, Pange lingua), i quali, nonostante il tema doloroso, sono caratterizzati da una coloritura piuttosto gloriosa e trionfale, incentrata attorno al “Trionfo della Croce”. L’autore di questi inni,  fu Venanzio Fortunato, (Valdobiadene 503 – Poitiers 609 )   autore di poemi e inni sacri alla Croce di Cristo, assi noto in epoca tardo-antica ai dotti e ai devoti.

 Nella liturgia del Venerdì Santo troviamo Crux fidelis,  quest’ inno antichissimo, molto bello e famoso in passato. L’inno fu scritto da san Venanzio Fortunato, in occasione di una processione per la consegna di una reliquia della Croce alla regina Radegunda. In effetti, Venanzio scrisse un brano molto più lungo, Pange lingua che viene cantato responsorialmente sulla stessa melodia, mentre Crux fidelis, che ne è una strofa, viene ripetuto come un'antifona. Il Pange lingua ha anche altri usi liturgici, nella Liturgia delle Ore durante la Settimana Santa e nelle feste della Croce. Il Pange lingia, quando viene utilizzato nella liturgia, è spesso suddiviso in inni più piccoli, come Lustra sex qui iam peregit, En acetum, fel, Arundo, e nel nostro caso Crux fidelis inter omnes. Bisogna sottolineare quale valenza teologica ha questo canto, che per l'orecchio moderno può sembrare quasi strano laddove una melodia così graziosa e modulata mette in musica parole che descrivono come "dolce" il legno e il chiodo, "nobile" l'albero della Croce.  Il Graduale Romano, lo propone in occasione dell’adorazione della Croce  nel Venerdì Santo nelle sole prime cinque strofe alternate dal ritornello.

Crux fidelis costituisce dunque un’apoteosi della Croce messa in versi da Venanzio Fortunato, dove appaiono in evidenza i diversi caratteri attribuiti al dolce Legno che accolse il corpo del Redentore. La Croce diventa un simbolo di vittoria, alla quale consegue però anche la gloria. Il corpo di Cristo, con la sua Passione e Morte vince sul Legno e al contempo lo adorna conferendo alla Croce una bellezza e uno splendore che non aveva prima. La Croce è nobilitata e ornata dal corpo del Redentore, glorificata dal suo contatto, così che il nudo Legno diviene un albero splendido.

Sorge  spontaneo l’interrogativo su l’Evviva lo Croce cantata dalle Confraternite  e dal popolo dei fedeli all’unisono alla sera del Venerdì Santo, che non sia una straripante interpretazione ispirata dall’Inno del Crux Fidelis, che al mattino passa quasi inosservato?

Nicola  Parisi




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