LA NARRAZIONE DELLE VIOLENZE SULLE DONNE NELLA SOCIETÀ MASCHILE
Non essere stronzi non basta per essere uomini. Non commettere violenza fisica su una donna è il dovere basico di ogni uomo. Limitare la discussione della violenza sulle donne a quella fisica, confina il dibattito in uno spazio consolatorio per i maschi, che per la stragrande maggioranza non hanno mai alzato le mani, ma oscura tanti interrogativi scomodi che riguardano tutti noi, compreso me.
Bisogna parlare di gender gap, le differenze economiche e sociali tra i sessi e delle relazioni nei luoghi di lavoro. Si deve parlare anche di violenza psicologica, causata da atteggiamenti che addirittura vengono considerati normali, ma invece sono vessatori e molto più diffusi di quello che possiamo credere.
Si deve riflettere anche sulla narrazione delle violenze e del linguaggio che riguarda le donne.
"Amore tossico" "delitto passionale" "raptus di gelosia" sono solo alcuni modi di descrivere i femminicidi che colpevolizzano le vittime (in quanto donne) e giustificano gli aguzzini (in quanto maschi). "Chissà come era vestita" "se l'è cercata" "l'avrà provocato" invece sono i giudizi in caso di stupro, intenti a colpevolizzare la vittima e a minimizzare l'accaduto.
Altri modi di dire ritenuti innocui come "donna con le palle" o peggio "ha le mestruazioni" (per descrivere una donna determinata) sono segnali di una visione maschilista della società. Il linguaggio riflette la cultura del suo popolo. Non siamo tutti delinquenti, ma abbiamo assorbito tutti, uomini e donne, dalla nostra cultura degli aspetti che discriminano la connotazione femminile e privilegiano quella maschile. A questo punto qualcuno potrà obiettare "ma allora non si può dire più niente" "viviamo nella dittatura del politicamente corretto". Se vogliamo evolverci dobbiamo cambiare punti di vista. Fare dei passi avanti verso il progresso non deve essere considerato un vezzo ma un processo alla ricerca di nuovi riferimenti. Non a caso chi si lamenta con tali esternazioni sono persone che hanno già tutto, che non sono coinvolte, che non sono donne. Noi uomini possiamo condannare gli abusi sessisti, ma non li subiamo. Non sappiamo cosa significa per una donna subire il maschilismo. Poi dov'è che non si può più dire niente? Semplicemente avanza insieme al tempo che cambia una nuova sensibilità che vuole far sentire la sua voce. L'unico modo per cambiare davvero le cose è spiegare che certi modi di pensare sono fuori da questo tempo, un tempo che deve tendere all'equità e alla giustizia sociale anche tra i sessi. “Cosa penserà la gente" è la formula emblematica della forma mentis che deve essere rilegato al passato. Non possiamo bloccarci dal giudizio di chi non può capire e non si sforza di farlo. Vale in qualsiasi caso, ancora di più nei casi di violenza sulle donne. Chi le subisce deve cercare aiuto rivolgendosi con fiducia agli amici, istituzioni o associazioni. Non sono le vittime che si devono vergognare. Le persone disposte ad ascoltare e ad offrire protezione sono e saranno sempre di più. Le cose stanno cambiando. Le vittime con la loro testimonianza possono aiutare altre donne a riconoscere la violenza e a trovare la forza per liberarsene. In questo modo sono iniziati tutti i cambiamenti: fregandosene dei giudizi di quella gente radicata ad un tempo superato.
Tommaso Pio Dell'Aquila
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