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Il Natale a Vico del Gargano

A Vico, e non so se parlarne al presente o al passato, il Natale parte da lontano ed il tempo dell'attesa viene scandito dai detti della cultura popolare e contadina di una volta. Ancora in estate quando il caldo di settembre avvolge la campagna si pensa, non sempre inconsciamente, già al natale. Si procede per tempo alla sgracinatura dei fichi ed alla loro cottura nei grandi calderoni; si passa quindi alla successiva spremitura per ricavarne il dolce e denso vincotto destinato in dicembre a diventare l'elemento principe nella tradizione dolciaria natalizia, una destinazione che oso chiamare naturale specie se riferita ai tempi duri di una civiltà e di un tempo di fame, di ingiustizie e di miseria che per comodità chiamiamo contadina. Nelle grate e sui gratali i fichi migliori (razza gentile e ficuttare) si mettono al sole a seccare quindi passano nei sacchettini di tela bianca assieme alle foglie di lauro che ne esalteranno la fragranza e riposti ntra d'architedd di legno perché maturino e caccin u zuccher per poterli infine imbottire con le noci e le mandorle e ricavarne la davvero regale fich n'cruc anche a sei-otto spicchi alla pari della gemella anfurnata e che ricevono la loro sublimazione in tempo di natale.

U furnedd da casedd, ora diventata anche villa pretenziosa, emanava effluvi soavi tra l'accorrere delle vespe impazzite. E' fine settembre. Sammichele zuccher e mel !!! In funzione delle festività natalizie si ritirano e si trattano i telai ed i favi dalle arnie nei giardini della vascianza per mettere da parte il miele, l'ingrediente principe delle specialità dolciarie del natale contadino. Si abbacchiano le noci, ci scoffliny i mennuly, c'abbattiny i pistazzy, si seccano le mele, le prugne e i pricocky per arricchire le portate di frutta secca e servirle assieme ai datteri africani i cosiddetti frutty di cent'anny.

Nell'aranceto comincia a far capolino fra le altre a rancia tosty; le piogge autunnali faranno recuperare u sucky ch'ana persy durante i mesi estivi ed essa, piccola per calibro ma grande per consistenza e dolcezza, sarà pronta e fragrante proprio sotty nataly.

Arriva anche il tempo della vendemmia e dell'uva moscata in particolare da cui si ricava u muscateddy il vino dolce e profumato per eccellenza, il re dei vini locali destinato ad accompagnare tutta una serie di dolciumi natalizi a naturale complemento di essi. Siamo oramai al giorno di san Martino Sant Martiny / pe nataly ci genchy a cantiny Sant Martiny se ne va male / ci fa u viny pe natale. Il count dawn oramai si rende esplicito, il natale è gia nei proverbi e nei detti popolari. Arriva anche l'olio grasso e novello dai trappeti del paese (per inciso a Vico non ce ne sono più) adattissimo per friggervi dentro il capitone della vigilia mentre alla leggerezza dell'olio vecchio verrà affidata la delicatezza della pasta sfoglia dei crustoli il dolce più tipico della tradizione popolare vichese.

Il calendario popolare che scandisce il tempo dell'avvento attende ancora una tappa: c'è la novena dei morti che inizia il 25 novembre il giorno di santa Caterina e si protrae fino al 3 di dicembre quando termina col falò della legna limusiunata dell'Addolorata sul sagrato della chiesa del Purgatorio. A ddulurata /a Natale na misata - Santa Catarina /a natale na trentina. Nei proverbi c'è il cadenzare del tempo, la misura dell'attesa mentre le attività agricole ed il lavoro sono sospesi dopo l'ultima semina fatta in campagna delle fave du bammyneddy per ottenere a primavera un raccolto precoce. Mentre le attività agricole restano sospese ammaturiny i vulivy non quelle non ancora raccolte ma quelle trattate, i vulivy annaque, cu sale, acciaccate, ca salise e via discorrendo pronte già per il consumo. Alimento di poveri il contadino vichese ne metteva un pugno ntra a saccoccy e se ne andava a farsi u quart e na gazzusy ntra cantine sulle panche di legno da dove si alzava talvolta anche brillo per non dire ubriaco. E se per caso il contadino avesse visto una frasca ammiccare da qualche porta e che indicava che qualcuno, non necessariamente una cantina, aveva messo mano al vino novello non resisteva più di tanto al richiamo di chi aviva miss man au vin novy complice quel misero pugno di olive ntra saccoccia- Tempo di sbronze ma altri tempi. Il 6 dicembre arriva in fretta. Sant Nicol /a natale diciannove (san Nicola a natale mancano diciannove giorni). Altro proverbio numerico d'attesa palese quasi spasmodica. Cerimonie religiose e falò per strada. E' tempo di castagne. Ma san Nicola è l'antesignano di babbo Natale, solo figura recente del panorama natalizio vichese!!!

I giorni incalzano e siamo all'otto dicembre alla festa dell'Immacolata a Cuncett. A Cuncetta / a natale diciassette (E' la concezione a natale mancano diciasette giorni).

E' tempo di preparare i pirsequii (i presepi) in chiesa, in casa, nelle stalle. Rappresentazioni ingenue dalle prospettive improbabili con statuine comprate nelle fiere e nei grandi magazzini. Distribuite nel presepe descrivono arti e mestieri in un caos dettato dall'estro personale ma che non escludono personaggi della tradizione. Una volta venivano acquistate a Napoli ed avevano veri abiti di stoffa rifiniti in tutti i particolari. Le poche statuine superstiti del presepe di casa mia le conservo gelosamente mentre rivado con la memoria al grande presepe del convento dei cappuccini tanto grande che occupava due e a volte anche tre cappelle della chiesa; ce n'era anche un altro componibile creato in tutto e per tutto da un artigiano vichese del quale ho dimenticato il nome che aveva avuto un sogno ricorrente (fammi un presepe il più bello che ci sia).

Scomparso anche quello (ma non dai miei occhi che hanno avuto la fortuna di ammirarlo) tra le macerie del vecchio convento per far posto alle nuove strutture di un ospedale mai aperto. Tra le nebbie della sera già qualcuno canta le nenie natalizie…

Tra le altre c'è una versione tutta autenticamente popolare dalle strofe improvvisate secondo l'estro del momento e la creatività di chi canta.

(Ninna nann u bamminedd ca Maria vo fatigà l'ama fa na vesta bell e ninna nanna u bamminell. na cuppulicch e… d'uminicch, nu pantalun e… stu guagnun) E' la cantata più genuina, popolaresca, colorita.

I canterini vengono accolti, sono attesi in effetti, presso i presepi allestiti per lo più nelle stalle con assaggio di crustoli e bicchieri di moscato e di rosolio fatto in casa. Non manca nel repertorio la famosissima Tu scendi dalle stelle che voglio ricordare come nata a Nola o forse nella nostra provincia come potrebbe essere probabile e per la prima volta cantata a Deliceto dove si trovava il suo autore san Alfonso dei Liguori . Nella versione vichese tutta popolare ritorna sempre l'incorreggibile oh dio beato hai quanto ti questò l'aver mia matre al posto del corretto verso, un passaggio sul quale molti sorridono ma nessuno si sogna di intervenire o di correggere i cantori indulgentemente perdonati. Si giunge cosi al 13 del mese, al giorno di Santa Lucia, altra santa fatidica A santa Lucia / a Natale tridicia (a santa Lucia a natale mancano tredici giorni). La notte di santa Lucia è notte fatidica e misteriosa. E' ritenuta la notte più lunga dell'anno ed il 13 il giorno più corto. E' alle porte il solstizio d'inverno ma chi la spiega(va) al contadino quella strana parola? Emergevano invece le paure ancestrali del sole sconfitto ma anche la fede nella sua rivincita poichè subito dopo egli riprende il suo corso e ricomincia a riconquistare il suo tempo ed il suo cielo.

Con santa Lucia termina la successione dei santi fatidici prenatalizi.

A decretare e suggellare la vittoria del sole arriva la novena di Natale.

A nuvej di Natale / abbia a festa principale (la novena di Natale avvia la festa principale)

Chiese piene ed odorose (sic) di cavolfiore che impregnava banchi e sedie in maniera permanente.

In paese giungevano i ciarammiddari abruzzesi al seguito delle greggi giunte nel tavoliere a svernare e temporaneamente abbandonate per girare i paesi e racimolare qualche soldo per pagare l'erbaggio alla regia dogana di Foggia.

Cambiati i tempi oggi arrivano in paese anche con un buon contratto in tasca ma sono sempre graditi. Con loro si avvicendano e si mescolano decine di babbonatale muniti di campanacci ingaggiati dagli esercizi commerciali e sguinzagliati a prendere ordinativi dalle famiglie – Omnia munda mundis

Nelle case si preparano i dolci della tradizione: gilateddy cu vinicotty, tarallucci e pastarelle con le mandorle e l'onnipresente vincotto, struffuli cu mele e su tutti il re crustolo, pastasfoglia tagliata in strisce sottilissime e leggere riavvolta su se stessa; fritte in olio sono destinate ad accogliere negli alveoli croccanti dalle più popolari noci frantumate nei mortai ed amalgamate con il vincotto dei meno abbienti alla più ricercata e costosa pasta reale a base di mandorle.

Dolce da poveri u cauciun, un saccottino di pasta sfoglia a forma di mezzaluna con ripieno di ceci schiacciati ed amalgamato da vincotto di fichi.

I loff de monache, inventate nel monastero delle visitandine di S.Marco; una delicata pallina di pasta frolla spugnosa ed elastica che se schiacciata fra i denti libera un soffio di aromatica cannella che si percepisce a distanza e ne giustifica il nome colorito.

E si possono elencare ancora i mennule atterrate, le ostie ripiene ed altre specialità simili al panforte senese od agli strudel ma niente che si possa ricondurre all'estraneo oggi diffusissimo panettone. Il torrone invece si acquistava dai montanari (di Monte sant'Angelo) che in paese hanno sempre avuto un qualche laboratorio. Ma oramai è vigilia e tutto deve essere pronto a cominciare dal piatto cu sacrament sul quale stendere a farinata di granidinie cotta nrtu lapij appisi a camastre du cinnarili, fino al ceppo natalizio, u cippuni.

Dal bosco intanto arrivano i nanculi, i frutti del corbezzolo e dalla vascianza i ranci tost che non possono mancare né sulla tavola del ricco né su quella del povero.

Dai schitiddani si comprano le verdure e i rosi ovvero il cavolfiore che accompagna il baccalà migliore u crispell. Dai pischiciani a chiazza cupert si acquistano i cicale ed i grossi cefali del trabucco, dai cagnanesi il capitone, u capimazzy, che fa tanta impressione non tanto perchè serpentiforme quanto perchè tagliato a pezzi continua a contorcersi ed a guizzare nella padella.

A sera si friggono le pettole che gana iesse fresche cioè calde e fragranti di olio vergine. La prima è della Madonna e deve avere forma di croce. Nell'olio bollente con sapiente gesto di mano la donna di casa deve versare una striscia di impasto in verticale ed in orizzontale a formare una croce, un gesto rituale e magico nel contempo. Si inaugura il presepe e ci fa nasce u bamminedd di casa. Si allestisce tra i parenti e conoscenti un piccolo corteo con in testa un bimbo prescelto tra i presenti che sostiene tra le mani il bambinello di creta del presepe. Tutti si predispongono a fianco con candele e lumini accesi e si esce di casa cantando le nenie della tradizione. Ci si dirige verso l'ingresso della chiesa vicina dove si da corso alla nascita del bambinello di casa recitando qualche preghiera. Sulla strada del ritorno ancora nenie e canti e dopo la deposizione del bambinello nella greppia si continua.

Da qualche tempo anche le confraternite cittadine imitando le famiglie si riversano per le strade a far nascere il bambinello dei presepi allestiti nelle chiese.

A casa intanto qualcuno prepara la tombola ed i fagioli per segnare le caselle e così, fra risate e battute di spirito ad ogni numero estratto, si resta in attesa di sedersi a tavola per il cenone.

Si cena di magro ma si mangia di tutto e ci vorrebbe un trattato per descrivere le portate: Baccalà e capitone e pesce diverso in tutte le salse e poi verdure diverse e varie, polenta magra e formaggi freschi (mozzarelle di masseria di S. Nicandro) e stagionati (caciocavallo di grotta). Si fa onore anche al robusto vino paesano e quindi ai dolciumi accompagnati dal dolce moscato del Guasto

Ci si alza da tavola in tempo per la messa di mezzanotte annunciata dalla pischiciana (una campana che ha una storia) e dopo aver sistemato il ceppo, u cippuni, nel focolare si esce di casa e ci si reca nella chiesa prescelta sul cui sagrato sta ardendo il falò tradizionale che attenua il disagio di chi vi si trattiene intorno nel freddo della notte. Meta preferita della santa notte è il convento dei cappuccini dove un grande falò attende l'infreddolito pellegrino perché recarsi al convento ben distante una volta dal centro abitato (ora non più perché debordato), aveva il carattere del vero e proprio pellegrinaggio se non si disponeva di un calesse come i signori. Ci si trattiene per la messa cantata, pi fa matutiny per cantare ancora davanti al grande presepe o trattenersi presso il fuoco.

Il mattino seguente le donne di casa sono ancora affaccendate per il pranzo di natale.

Maccaruni di casa, strascinati. Fusilli, maccaruni cu ferr al ragu, vecc, ntacch di porc. Crapett tempestii, salumi e via discorrendo e dolci e crustoli e vino tenuto in serbo per la circostanza. Frutta e rosoli ed a sera ancora pi pirsequii (per presepi) in un continio peregrinare a cercare l'amico od il conoscente col quale intrattenersi e far tardi. Sant Stefan iè minute e Natale ci n'è giut (santo Stefano è arrivato e Natale sen'è andato) La favola sbiadisce ma già si attende il capodanno. Si sta mal a capidann/ a sta mali tutti d'anni (se stai male a capodanno starai male tutto l'anno) ed allora s'interrogavano le assistite che leggevano a pagamento la ventura nel libro magico di san Tommaso, si facevano le previsioni sul clima e l'annata agricola attraverso il complicato sistema delle calende ma l'attesa della festività era più stemperata e soprattutto non c'era più l'obbligo di trascorrerla con la famiglia. Natale chi to / capidann si ci po (Natale con i tuoi Capodanno se lo puoi) più che un proverbio una licenza specie per i più giovani che si dividevano tra l'organizzazione dei balli e la preparazione dei botti che si acquistavano dai sanseveresi e dagli ambulanti napoletani per la notte di san Silvestro. Capodanno è festa profana perciò tutti liberi ma firrnuta a pagghi / arrivino i re maggi (finita la pacchia arrivano i re magi)

E' la notte della Befana e della calza che ricorda molto ai bambini la calza della notte dei morti. E' anche il giorno da bonastrima (la strenna) delle strenne elargite soprattutto dai nonni ai nipoti, giorno festoso ma anche un tantino triste perché il giorno seguente già si ritorna al lavoro sospeso quale esso sia. In chiesa alla messa solenne nella chiesa del Purgatorio già chiesa dei signori più in vista si canta Fermarono i cieli, melodia di sant'Alfonso de' Liguori, tenuta in gran conto e punto di onore per tutti i tenori delle confraternite locali: mentre risuona la melodia il sacerdote offre il simulacro a grandezza naturale del bambinello coronato come un re e dalla tunica preziosa al bacio dei fedeli con gesto sempre uguale e coreografia ancora oggi immutata.

Poi sorretto ed accompagnato da almeno tre confratelli il bambino viene condotto di casa in casa a raccogliere elemosine ed elargire benedizioni e portar fortuna.

E il giorno in cui per il paese discretamente e senza clamori si dice che caminini i bamminedd cioè camminano, girano i bambinelli a prendere congedo dalla gente. Si consumano in casa gli ultimi dolci e si spengono le luminarie si sconciano i pirsequii anche se molti si ostineranno a tenerli fino al 2 febbraio il giorno della candelora. L'Epifania tutte feste porta via recita l'adagio comune che a Vico invece si enuncia diversamente Pasqua Bufania /è firnuta a malatia (Pasqua Epifania è finita la malattia) chiaro richiamo alla realtà dopo gli sprechi e che soprattutto il contadino vichese d'altri tempi faceva innanzitutto a se stesso dopo i giorni del natale durante i quali si era concesso una pausa dalle contingenze e dalla miseria quasi si fosse trattato davvero di una trasgressione patologica, di una leggerezza, di una follia o spensieratezza colpevole. Ma qualcuno insinua che è già carnevale (sant Antuni festi e suni) e che nemmeno la festività del patrono san Valentino non è poi lontana. Sarà proprio Lui, il santo delle arance e dell'amore, tra qualche settimana a prendere in mano i destini dei vichesi per guidarli e proteggerli fino al prossimo Natale sant Valantini arricughi e mitt n'zin / arricuggh i rancitedd e mittili n'zin u bamminedd non ci vedete la continuità, la circolarità, il ritorno? Ma questa è un'altra storia…per il paese delle 366 feste all'anno e delle altrettanto numerose processioni. Molte cose ho detto, altre ne ho trascurate anche volontariamente perché raccontare il natale dei vichesi o a Vico se da un lato può sembrare semplice da altri punti di vista può diventare complesso se non addirittura complicato. Giunto così al termine di questo mio racconto sulle tradizioni natalizie del mio paese mi resta solo da domandarmi a da domandarvi che valore esse hanno o possono avere pur avendo in parte anticipato qualche conclusione.

Tuttavia mi sorprendo ancora a non essere definitivo: perchè mai, infatti, il suono di una nenia riesce a trasportarmi al tempo della mia lontana infanzia e mi fa rivedere i volti dei miei genitori felici nella semplicità del loro focolare ricco di figli e di amore e rivivere assieme alle loro ombre momenti indimenticati?

Perché mai la stessa nenia mi fa rivivere e ricordare il sorriso di due splendidi bambini, ora uomini, che riempivano la vita mia e quella della donna che con me ha diviso quella gioia?

Perché ancora due piccoli, i miei due nipotini, riescono con il loro sorriso e la loro ingenuità mentre mi augurano il buon natale o scartano un dolcetto a rendermi sereno e per un attimo ed ancora felice?


Michele Tortorella



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