La gattina alla finestra
- Redazione di Fuoriporta
- 14 ore fa
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La gattina alla finestra
Una gattina laboriosa, mentre spazzava sotto i banchi della chiesa della Misericordia, trovò una monetina che forse era sfuggita dalle mani tremolanti di una vecchia penitente. Tutta felice la raccolse, la spolverò accuratamente e cominciò a fantasticare: “Se compro il pesce dovrò gettare le spine, se compro la carne dovrò scartare l’osso. Ho deciso, andrò dalla Montanara, sceglierò un bel nastrino rosso, lo legherò intorno alle mie orecchie, poi mi affaccerò alla finestra e aspetterò!” Così fece.
Nella sua casa c’era una piccola finestrina al primo piano, sporgente sulla via Carmine, una strada molto trafficata dagli animali che rientravano dal pascolo all’ora del tramonto. La gattina si lisciò il pelo accuratamente, legò il nastrino a guisa di nocca intorno alla testa e si pose in attesa con le zampine poggiate sul davanzale.
Passò un bue, con due corna maestose, che facevano concorrenza a tutti gli animali cornuti del paese. Il rosso del nastrino attirò la sua attenzione, si fermò di scatto e con voce delicata salutò:
“Buonasera, bella gattina, che cosa fai alla finestra?”
“Mi voglio maritare!” rispose la gattina.
“Ti vuoi sposare con me?” chiese il bue.
“Fammi sentire la tua voce!” fu la risposta.
Il bue sentì l’adrenalina correre dalla coda fin sulle punte delle sue maestose corna ed emise un muggito altisonante che fece tremare tutti i vetri del vicinato!
“Oh no! - bisbigliò la gattina - vattene, vattene, la tua voce mi farebbe spaventare di notte!”
Il bestione, offeso nella sua dignità, proseguì deluso.
Dopo un po' passò un maiale, sazio per aver fatto una bella scorpacciata di ghiande al bosco, con la coda riccia e due prosciutti belli lucidi che avrebbero fatto onore sul banco del salumiere, noto nel paese per le sue specialità culinarie.
Il suino guardò la gattina, si fermò e salutò educatamente: “Buonasera micetta, cosa fai alla finestra?”
“Aspetto, spero di trovare un marito che faccia al mio caso!” rispose la gatta.
“Vuoi accasarti con me?” chiese il porcellino.
“Fammi sentire la tua voce!” rispose lei.
“Gru, Gru, Gru” grugnì il maiale, ma fu liquidato in un baleno, perché la sua voce non era gradita.
Di lì a poco passò un montone con un paio di corna attorcigliate ed un vello di lana morbida che sarebbe stato un buon rifugio caldo per il naso gelido e le zampine infreddolite nelle notti d’inverno. Il verro si fermò di scatto, osservò la gattina e sussurrò:
“Buona sera, micetta, cosa fai costì?”
“Eh, ho pensato di cercare marito!” Rispose.
“Che, forse gradiresti la mia presenza al tuo fianco per tutta la vita? Saprei difenderti dai pericoli con una buona cornata, non per nulla sono un ariete, usato nelle battaglie in tempo di guerra! Si presentò egli.
La gattina rimase quasi convinta, ma, anche questa volta, chiese di udire la sua voce.
Il pecorone gonfiò ben bene il petto, puntò le zampe al suolo ed emise un belato stentoreo e modulato, applaudito da tutto il gregge che lo seguiva.
La gattina si tappò le orecchie con le sue zampine e disse:
“Continua pure per la tua strada, non fai per me!”
Infine passò un topo grigio, con un bel musetto rosa e lunghi baffi che facevano concorrenza a quelli della gatta.
“Buona sera” - squittì il topolino – “come sei carina, cosa fai alla finestra?”
“Ho desiderio di trovare uno sposo!” Rispose lei.
Il topolino si lisciò i baffi con le zampine, alzò il musetto e modulò una dolce serenata con la sua vocina delicata e convincente.
La gattina ne fu conquistata e lo accolse come compagno di vita nella sua casa, dove vissero felici e contenti per lungo tempo! Finchè…
Una domenica, dopo aver preparato il ragù con le braciole e le salsicce, in un tegame di creta sulla fornacetta a carbone, la gatta si vestì per andare alla messa e raccomandò al topolino di non alzare il coperchio. Andò in chiesa, pregò, ringraziò il buon Dio per il compagno che aveva trovato.
Nel frattempo, il compagno, che aveva buon fiuto e buon appetito, scoperchiò il tegamino per assaggiare una bracioletta e,… patapunfete, scivolò tra le bolle fumanti del ragù!
Quando tornò a casa, la micetta bussò alla porta, chiamò, picchiò più volte contro l’uscio, ma nessuno aprì. Si decise allora ad usare la chiave che aveva nascosto sotto lo zerbino. Invano chiamò il suo fedele compagno, lo cercò in ogni angolo della casa, attese per ore il suo ritorno, ma era sparito…dileguato!
Quando i languori dello stomaco si fecero sentire, si decise di mangiare da sola, senza il suo amato compagno. Preparò un bel piatto di orecchiette e vi scodellò sopra le braciole fumanti, fra le quali giaceva il suo caro topolino, con i baffi intrisi di pomodoro, gli occhietti chiusi e le zampine aggrappate ad una salsiccia!
La gattina pianse, l’osservò, poi…
“Più che il dolor potè il digiuno!”
E da quel giorno i gatti mangiano i topi.
Francesca Maria Cerulli (favola di Checchina De Petris)

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