Si comincia da tempo a pensare, al «dopo» emergenza sanitaria, chiamata «fase due». Tutti auspicano che si operi in modo sicuro, graduale e che sarà diverso dal passato. Ma diverso come? Diverso cosa? Affrontando tematiche relative al «pianeta giustizia», abbiamo intervistato l’avvocato Raffaele Sciscio, professionista di Vico del Gargano, componente della Commissione Legalità - Ordine degli Avvocati di Foggia
D.: Il mondo del lavoro, nelle ultime settimane, ha subìto stravolgimenti mai visti primi. Lavoro a casa, insegnamento a distanza, commercio online. Cosa prevede per i prossimi mesi e come immagina il lavoro degli avvocati? Cambierà qualcosa nel rapporto cliente-avvocato? R.: Anche noi professionisti, che pure non abbiamo mai chiuso del tutto (se non in certe zone del Paese), ci prepariamo alla c.d. fase 2. Per quanto con le peculiarità della nostra categoria, puntiamo sulla tecnologia: smart working e videoconferenze, che hanno consentito la prosecuzione dell’attività nel primo periodo dell’emergenza, e penso continueranno a funzionare, sia per garantire una turnazione in sicurezza presso gli studi, sia per mantenere i contatti con i clienti. L’uso più consapevole della tecnologia è una delle eredità di questa crisi che rimarrà anche con il graduale ritorno alla normalità e rappresenterà un elemento su cui avviare un ripensamento della nostra professione. Ma forse non tutto viene per nuocere. Sicuramente è un’occasione per emanciparsi da sistemi tradizionali di lavoro e di comunicazione. Per esempio, le video riunioni con alcuni clienti saranno probabilmente utilizzate per ottimizzare i tempi. Sicuramente sarà necessario riaprire lo studio anche ai clienti, ma in modo graduale, non dimenticando che il rapporto tra avvocato e cliente è empatico, caratterizzato dalla fiducia, difficilmente trasmissibile tramite una videoconferenza. Quindi, per rispondere alla domanda, la previsione è che la fase 2 avverrà all'insegna della gradualità. Negli studi sarà necessaria una turnazione, così da garantire il rispetto delle distanze di sicurezza. Insieme alle altre precauzioni: mascherine, guanti, disinfettanti; sulla riapertura anche ai clienti la mia personale posizione è quella di regolamentare gli appuntamenti, preferendo le videoconferenze con i clienti, ove possibile, e fissare ove necessario incontri in orari ben definiti al fine di evitare le sale di attesa come in passato.
D.: Prevede modifiche sostanziali alla vostra professione? R.: Per quanto riguarda le modifiche sostanziali della nostra professione, sono quelle di natura tecnico-processuale che mi preoccupano di più, in poche parole lo svolgimento delle udienze. Si parla da tempo ormai dello svolgimento delle udienze, sia in ambito civile che penale, da remoto. Proprio poche ore fa il governo ha approvato il testo definitivo convertendo il decreto "Cura Italia", contenente il pacchetto di misure in ambito giudiziario, fortemente avversato dalla maggior parte degli avvocati, me compreso. In questo provvedimento viene definitivamente approvato il c.d. "processo da casa" o come definito nell'ambiente forense "processo dal divano". Sono diverse le novità introdotte in abito processuale, dalla procura ad litem rilasciata via whatsapp, alla mediazione on line, notifiche via pec, il tutto nell'ottica di potenziamento del processo telematico. Ma se queste misure, possono essere adattate alla meno peggio al processo civile in cui è già da tempo avviata la procedura telematica, mal si conciliano con il processo penale, che per sua natura è un processo orale, dove la presenza dell'avvocato in aula è fondamentale per le sorti del diritto di difesa dell'imputato. Insomma, io ritengo che la smaterializzazione del processo penale, come è stata a volte definita con evidente intonazione dispregiativa, è dai più vista come un abominio, del quale non si deve discutere nemmeno per ipotesi. In buona sostanza il mio è un “no” categorico alla possibilità di celebrare le udienze penali da remoto al fine di garantire la sacralità dell’aula d’udienza, l’indispensabilità della presenza fisica quale unico baluardo difensivo effettivo, il diritto di difesa, il principio dell’oralità, del contraddittorio e dell’immediatezza e via di questo passo. In ultimo, ma non per ordine di importanza vorrei fare un accenno ai c.d. protocolli adottati dai diversi Tribunali italiani. Questo è l'ulteriore problema, quale conseguenza diretta dell'assenza decisionale univoca della politica centrale. In buona sostanza il Governo, nel definire le linee guida a cui tutti devono attenersi al fine di contrastare il diffondersi dell'epidemia, ha demandato ai Presidenti dei Tribunali la facoltà di adottare tutti gli opportuni accorgimenti del caso concreto. Questo ha portato all'adozione di protocolli d'intesa, nella migliore ipotesi di comune accordo con il COA (Consiglio dell'Ordine degli Avvocati), che stabiliscono le reali modalità di contenimento epidemiologico, stabilendo le concrete modalità di svolgimento delle udienze. Immaginate voi cosa vuol dire per un avvocato che opera nelle più disparate sedi giudiziarie italiane, dover affrontare la giungla di protocolli che ogni tribunale ha adottato, privi di qualsivoglia omogeneità: una situazione di federalismo giudiziario all'americana.
D.: E’ vero che i tempi della giustizia saranno inevitabilmente più lunghi? R.: Quanto ai tempi, è inevitabile che ci sarà un allungamento delle liste di attesa dei processi in ogni ambito. Basti pensare che i vari protocolli adottati dai tribunali, prevedono la trattazione di un massimo di dieci fascicoli giornalieri, mentre prima ogni magistrato per ogni udienza trattava fino a 60 fascicoli circa. Un allungamento dei tempi è inevitabile.
D.: Come per gli operatori della sanità, non sarebbe auspicabile un bando di reclutamento straordinario, per giudici e personale di cancelleria? R.: Il problema dell'organico degli uffici giudiziari, riferito sia al numero dei magistrati in servizio che al personale ausiliario di cancelleria non è un problema che sorge oggi in conseguenza dell'emergenza epidemiologica, bensì ha origini ben più lontane. Esso ha le sue radici più recenti nella riforma della geografia giudiziaria attuata dal governo Monti che ha visto la soppressione di tutte le sedi distaccate di tribunali (o quasi) oltre che di diversi sedi centrali. Per restare nel nostro ambito geografico di nostra appartenenza, basti pensare che il Tribunale di Foggia oggi è per estensione territoriale di competenza e carico di lavoro, il 5° tribunale d'Italia. Questo ha provocato problemi anche di natura logistica, che gli operatori di settore come gli avvocati subiscono tutti i giorni, e mi riferisco alla struttura immobiliare del tribunale, agli uffici e aule di udienza in cui magistrati, cancellieri e avvocati sono costretti a lavorare. Certo in questo momento, il problema si è accentuato per la impossibilità di svolgere le udienze e trattare i processi penali nel modo ordinario, come accennato prima, i protocolli messi in atto dai vari tribunali prevedono a trattazione di un numero limitato di udienze sia civili che penali, che comporterà l'inevitabile dilatamento dei tempi del processo. Un reclutamento straordinario darebbe una boccata d'ossigeno al sistema giustizia; ma questo può avvenire in tempi relativamente brevi solo se si mette mano con una riforma al concorso per accedere alla carriera dei magistrati. Oggi con l'attuale sistema concorsuale dei magistrati, sono necessari tre anni dalla data del bando affinchè l'aspirante magistrato prenda servizio effettivo presso una sede giudiziaria. Un tempo troppo lungo per rispondere ad esigenze emergenziali.
D.: Le conseguenze di una crisi economica e di liquidità, incideranno molto sul rapporto con gli assistiti? R.: Anche questo aspetto, sicuramente accentuato dalla crisi, ha origine e giustificazioni lontane nel tempo. Ma ritengo che questo sia di secondaria importanza. Quella dell'avvocato è una professione nobile, o per lo meno cerchiamo di mantenerla entro tale aurea, e per natura non può e non deve essere legata al compenso. Noi dobbiamo assicurare la difesa a tutti coloro che ne facciano richiesta, indipendentemente dalle condizioni economiche. Per concludere sul punto vorrei citare, pur non essendone degno, il pensiero di un grande giurista, Pietro Calamandrei, che a tal proposito disse: "La legge è uguale per tutti" è una bella frase che rincuora il povero, quando la vede scritta sopra le teste dei giudici, sulla parete di fondo delle aule giudiziarie; ma quando si accorge che, per invocare la uguaglianza della legge a sua difesa, è indispensabile l'aiuto di quella ricchezza che egli non ha, allora quella frase gli sembra una beffa alla sua miseria".

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