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Galeazzo Caracciolo marchese di Vico a cinquecento anni dalla nascita


Nel gennaio del 1517 nasceva Galeazzo Caracciolo, figlio primogenito di Colantonio e Giulia della Leonessa; la famiglia riponeva nel nascituro tutte le attese di continuare a far grande il casato Caracciolo, che aveva ottenuto il beneficio di acquistare la terra di Vico dopo la contesa de regno di Napoli fra Aragonesi e Angioini. Colantonio per la fedeltà e i servizi prestati poi, nel 1531, ottenne dall’imperatore Carlo V il titolo marchesale, dando vita al ramo dei Caracciolo di Vico.

Educato nell’ambiente aristocratico e cavalleresco della capitale del regno, il giovane nobile fu introdotto alla corte imperiale, come “chambelán del imperio y caballero de la llave de oro”prestando i suoi servizi al seguito di Carlo V.

All’età di quindici anni nel 1532, esce dalla tutela ed entra in possesso dei feudi materni di Torrecuso, Telese, Solopaca ecc.; nel 1537 sposa Vittoria Carafa, un felice matrimonio dal quale venne alla luce una lieta figliolanza, con il primogenito Colantonio che poi erediterà dal nonno il titolo di marchese di Vico.

La prima metà del XVI secolo, in cui si colloca la vita giovanile, personale e familiare di Galeazzo Caracciolo, si presenta comeun periodo storico e culturale in rinnovamento al quale Napoli offri il suo contributo con i migliori umanisti, letterati e poeti, che diedero vita a cenacoli e accademie. Al tempo stesso tutti gli Stati della penisola furono travagliati da fermenti religiosi provenienti d’oltralpe, che contaminarono l’élite culturali italiane.

Il contesto storico, politico economico e religioso, all’interno del quale si collocano le frequentazioni che portarono ad una maturazione e poila conversionereligiosa Galeazzo, fu quello della capitale del regno dove nel 1536 era giunto Juan de Valdés esule dalla Spagna a seguito delle persecuzioni operate dall’Inquisizione contro i movimenti degli “spirituali”.

Intorno al nobile letterato e teologo spagnolo si costituì il più autorevole cenacolo culturale della città partenopea e fra i più importati d’Italia, al quale presero parte predicatori come l’Ochino e il Vermigli, umanisti come Marcantonio Flaminio e donne di spiccata sensibilità come Vittoria Colonna, Giulia Gonzaga e Isabella Bresegna.

Ad introdurre Galeazzo, alla frequentazione del cenacolo, fu il cugino Gian Francesco Alois che ebbe dotte frequentazioni ospitando personaggi come il Flaminio e il filosofo Lorenzo Romano; fu una predica del canonico Pietro Martire Vermigli, in San Pietro ad Aram, che aprì nella mente e nel cuore del giovane Caracciolo uno squarcio di luce insolita per l’educazione fin ora ricevuta.

Gli anni a seguire furono per Galeazzo di un penoso travaglio interiore, il cuore e la mente eranocontesi fra gli affetti familiari e gli agi dell’ambiente aristocratico e di corte nel quale viveva, e l’attrazione della parola del Vangelo che nell’intimo gli chiedeva la rinuncia a tutte le cose materiali della vita. L’impossibilità di poter dialogare di tutto questo nell’ambiente familiare e il rigore del contesto sociale nel quale non mancava lo spettro dell’Inquisizione pesarono gravemente sulle decisioni, potendo egli confidare solo su pochi intimi, che vivevano come lui il travaglio di fede, ma mancarono di coraggio preferendo vivere la loro esperienza, nella modalità del “nicodemismo”.

Vivificato di una spiritualità nuova, che lo aveva permeato durante la frequentazione del cenacolo eterodosso, nel 1551 aveva abbandonato Napoli dov’erano gli affetti familiari, le amicizie e le ricchezze patrimoniali del casato, per rifugiarsi nella città svizzera di Ginevra, dove il pensiero della Riforma era insegnato da Giovanni Calvino e Teodoro Beza.

L’evento fece scalpore nella società dell’epoca, Galeazzo per parte materna era pronipote di Gian Piero Carafa, Papa Paolo V e la moglie era anch’essa nipote del pontefice; dopo un primo smarrimento il padre a la moglie si attivarono con diverse iniziative per riportarlo alla famiglia e alla religione cattolica. Vani furono tutti i tentativi del padre che arrivò a chiedere all’imperatore di poterlo diseredare edella moglie che volle incontrarlo.

L’ultimo epilogo ebbe luogo proprio nel castello di Vico del Gargano, durante l’estate del 1558 dove Galeazzo si portò temerariamente per spiegare finalmente a Vittoria sua moglie le motivazioni che mai aveva potuto partecipargli e chiederle di seguirlo nella libertà della fede cattolica. Fermi nei rispettivi principi, Vittoria e Galeazzo vissero questo loro dramma e neppure gli anatemi del vecchio padre e i pianti dei figli riuscirono a smuoverlo dalla sua determinazione. Così straziato nell’animo Galeazzo prendeva dal lido di San Menaio, la via dell’esilio definitivo di Ginevra.

Nella città Svizzera, visse da semplice borghese, contribuendo in modo significativo alla costituzione della chiesa Evangelica Italiana di quella città, dove tanti erano gli esuli per motivi di religione. Durante tutto il resto della sua vita egli rimase per la città il Signor Marchese, al quale tutti continuarono a tributargli onore.

La notorietà di Galeazzo, non cessò con la sua morte avvenuta il 28 maggio 1586, grazie all’opera del suo amico Nicolò Balbani ci è stata tramandata la biografia “Historia del marchese Galeazzo Caracciolo”, opera che acquistò notorietà in tutti gli stati dove la Riforma Protestante si diffuse.

I rapporti dell’epoca di Ludovico Beccadelli nunzio apostolico a Venezia, di Ercole Ragnoni e Bernardo Navagero, ambasciatori, unitamente alle testimonianze dei processi inquisitoriali di Pietro Carnesecchi e Giovanni Morone, rendono ancora più vive le vicissitudini del nostro personaggio

Fra il XVII e il XVIII secolo l’Historia,fu tradotta in tedesco, francese e inglese raggiungendo il continente americano ad opera delle comunità religiose dei puritani emigrate dall’Inghilterra. Conosciuta in tutto il mondo, in Italia -la Historia di Galeazzo Caracciolo- compare solo nel 1876 ad opera del prof. Emilio Comba docente di storia della chiesa presso l’Università. di Firenze.

Nicola Parisi


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