La paura e il pericolo. «Un mio amico ha, come tanti, paura di volare e dunque per nessuna ragione sale su un aereo, notoriamente il mezzo di trasporto più sicuro che esista. Però viaggia alla guida della sua potente vettura, spesso superando i centocinquanta chilometri all’ora, convinto di avere tutto sotto controllo ma in realtà esponendosi a un rischio di gran lunga maggiore rispetto a quello, minimo, del volo moderno». Ho preso in prestito dallo scrittore Gianrico Carofiglio, suggeritomi da un’amica, alcune sue riflessioni, tra le più sensate e lucide degli ultimi giorni. Quando si tratta di rischio volontario, tutto ci sembra meno pericoloso e governabile; se imposto da altri, come nel caso delle epidemie, lo percepiamo in maniera diversa, quasi incontrollabile. Influenze e inquinamento, per citare le due cause più comuni, provocano migliaia di decessi all’anno. Ma la paura di respirare particelle cancerogene è minore rispetto a quella di entrare in contatto con un virus. L’incertezza e l’irrazionalità sono parte integrante del nostro stile di vita, come la paura, il pericolo e il rischio. Come affrontare la vita? Bisogna accettarne l’ignoto e l’incertezza? Oppure cercare soluzioni immediate, sperando di soddisfare la sete di «certezze»? La violenza ed il peso delle parole, sembrano acuirsi nei momenti del bisogno e di massima collaborazione e certamente non aiutano affatto. A volte, i troppi mezzi a disposizione, invece di facilitare il processo informativo, ne deviano e alterano il contenuto. Ci stiamo abituando ormai... e alla stessa maniera siamo ossessionati dal computo numerico e matematico che la cronaca giornaliera ci impone. Franklin Roosevelt ammoniva gli americani sulla necessità di combattere e sconfiggere la paura con le armi dell’intelligenza, mentre per tanti, purtroppo, la paura è essa stessa una malattia. Guardare con occhi diversi, da un giorno all’altro, il nostro vicino di casa tornato dal nord, il nostro dirimpettaio di regione, l’improvvido vacanziero e scoprirsi improvvisamente untori agli occhi di molti paesi europei e non, significa che c’è ancora tanto da lavorare per unificare stati, uomini e coscienze. Chiusa momentaneamente una «questione» (si fa per dire) non mi resta che elogiare i protagonisti dell’organizzazione dei festeggiamenti in onore del nostro santo Patrono, partendo da quei maestri artigiani che con spirito di sacrificio e passione autentica, regalano ai vichesi e ai visitatori, un «trono» di arance unico al mondo, per finire a tutti coloro che più o meno in sordina, si fanno in «quattro» e lavorano per la comunità. Gli amministratori hanno voluto e garantito continuità e permesso che anche le associazioni e i singoli operassero al meglio, con contributi ed incentivi. Da ripetere certamente la felice intuizione del «percorso dell’amore», che insieme al «pozzo delle promesse» e al «vicolo del bacio» potrebbe diventare un itinerario da promuovere tutto l’anno.