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Pino Chiucini

Una grande nevicata/Il racconto di Pino Chiucini

Aggiornamento: 16 feb 2021

Il “Buondì si vede dal mattino”!



Nel viaggio verso il nascente Centro radar di Jacotenente, sette di noi , tecnici specialisti di Radar, eravamo rimasti parcheggiati a Vieste, nei mesi di settembre, ottobre e fino alla mattina del 26 novembre dell’anno 1962. Era arrivato finalmente per noi giovani ed imbranati avieri scelti dell’Arma Aeronautica la fine della nostra lunga e travagliata fase di raggiungimento del reparto di destinazione. Come potete immaginare, per me toscano e per gli altri due amici Relli, milanese e Tuveri sardo, era l’apoteosi della tragedia. Comunque finalmente potevamo conoscere il luogo che aveva provocato in noi tanta, ma tanta angoscia. Preparammo tutte le nostre cianfrusaglie e la nostra dotazione vestiaria riempiendo fino allo spasimo lo zaino e il borsone militari oltre alla valigia civile e di buonora ci infilammo in un mezzo che oggi a distanza di tanti, troppi, anni posso definire mitico che era conosciuto con la sigla CL51 dove 51 era l’anno di costruzione. Il mezzo moderatamente capiente fu riempito della nostra “merce” (eravamo in 7 destinati al monte!) e vi salimmo solo in sei: il milanese Relli Paolo che da capitalista del Nord possedeva una fiammante Vespa ci seguiva in moto.

Il CL51 era un mezzo particolare, ruote altissime che lo sollevavano tanto (troppo) da terra, dotato di un predellino per salire adatto ai giganti e fornito alle forze armate in varie versioni: chiuso per trasporto personale, chiuso attrezzato come ambulanza oppure aperto a mo’ di autocarro per trasporto materiale. \ Un saluto agli amici che rimanevano a Vieste e che ci avevano accompagnati per darci una mano ad imbarcare le “masserizie”. Uno scossone per la messa in moto e via. Chi ha oggi presente le tortuose stradine di campagna consideri che sono superstrade a confronto con quelle che percorremmo noi per raggiungere la mèta. Costeggiammo per alcuni chilometri il mare in una tiepida giornata che ci permise di apprezzare la bellezza della costa che ci salutava mentre salivamo al monte. Ad un certo momento la vista si accorciò e fu delimitata da una fiorente boscaglia che pian piano si macchiava di spruzzi di bianco. Nel continuare ad inerpicarsi il verde perdeva la sua bella preponderanza a favore del bianco immacolato della neve. Dal calduccio interno del CL51 si ammirava con piacere lo spettacolo, in fondo al di là delle noie che la neve arreca al vivere giornaliero, è innegabile che il manto che si stende sui rilievi terreni ha un suo fascino, sembra che ammorbidisca le rugosità del terreno e conferisca al paesaggio linee di aspetto più armoniche.

Non la pensava certamente cosi l’amico Relli che a bordo della Vespa continuava a seguirci facendoci comunque segno che tutto andava bene. Da buon nordista! La strada saliva e saliva la strada curvava e curvava mentre la neve cresceva e cresceva!. Ecco perché il buon CL51 con le sue ruote alte era stato scelto per il viaggio! La neve era ormai alta ed il fondo vergine, per cui il maresciallo autista decise che era venuto il momento di montare le catene da neve; ci fermammo per questo in prossimità dell’ingresso di una masserizia dove qualcuno aveva provveduto a fare un po’ di pulizia. Fu un gradevole intermezzo per Relli che scese intirizzito dalla Vespa e si rifugiò all’interno del mezzo per riscaldarsi. Montate le catene cercammo di convincerlo a lasciare la Vespa nel casale per poi tornare in tempi migliori a riprenderla. Ma la poca fiducia nel prossimo lo fece decidere nel proseguire il viaggio in moto. E via si riparte. Ancora salita e neve che non paga di farsi vedere solo stesa al suolo cominciò a svolazzare lieve nell’aria. Adesso il mezzo sale un po’ più deciso nelle curve. Sale nel contempo anche lo scoraggiamento: dove diavolo ci avevano trasferiti! Alla fine arrivammo. Faceva un freddo cane. Relli era ricoperto d’un bianco mantello, quasi un babbo natale (avveva un cappotto con cappuccio). Ci volle molta attenzione per aprire le sue dita che stringevano intirizzite le manopole della Vespa, lo “scrostammo” letteralmente per farlo smontare da cavallo! Che viaggio!

Questa premessa era necessaria per far capire ai lettori, anche quelli locali che erano altri tempi, non solo sotto l’aspetto del “bel vivere” odierno, ma anche sotto quello meteorologico. Oggi è raro vedere la neve così alta e non ho ancora finito perché solo adesso comincia il racconto “Una grande nevicata!”.

Erano ormai trascorsi poco più di due anni dal nostro arrivo. Relli e Tuveri non avevano resistito all’amarezza di essere stati destinati tanto lontano dalla loro casa e si erano congedati. Gli altri 5, me compreso, erano ancora presenti. Tre di loro in quanto pugliesi Perillo di Manfredonia, Moretti tarantino e Petracca brindisino. Auletta in quanto campano (di Sarno) ed io per un motivo completamente diverso: mi ero fidanzato con una bella signorina di Vico del Gargano il paese più vicino alla nostra base.

È la notte tra lunedì 8 e martedì 9 febbraio 1965. Una notte così trasparente che le stelle sembrano essersi avvicinate di molto a noi. L’altoparlante che trasmetteva il suono della tromba aveva da non molto smesso di emettere le tranquillizzanti note del silenzio, che nell’ambiente militare chiude la giornata: tutti debbono giacer nel letto! Stavo fumando una sigaretta seduto sul gradino di accesso alla camerata con i compagni di stanza un autista romano Di Giacobbe Guido - poi si stabilirà a Vico del Gargano e diverrà il ben amato e conosciuto Guido l’Autista degli Autobus delle Ferrovie del Gargano - e l’amico di sempre Auletta. Qualche chiacchiera sul nostro futuro, era un argomento che ci impegnava sovente, anche perché la vita militare scorreva abbastanza serena ed eravamo ormai ben inseriti nel tessuto interno del Reparto. Non era come alla scuola militare dove nei primi due anni della nostra vita militare avevamo dovuto imparare a tacere e ad obbedire. Forma tanta, troppa a scapito forse della sostanza, ma quello era ritenuto il modo di forgiare la nostra figura militare. A Jacotenente il reparto era piccolo e, cosa interessante e piacevole, aveva un carattere internazionale, dipendevamo direttamente dalla Nato. Una grande famiglia formata da Ufficiali e Sottufficiali che, dal Comandante in giù fino all’ultimo aviere, aveva impostato i propri rapporti basandoli più su caratteri di impegno, di stima e di rispetto delle proprie competenze che su quelli della subordinazione militare.

Ci fumammo forse anche un’altra sigaretta e poi a letto. Non c’era allora problema del sonno, qualche usuale battuta allegra o di sfottò poi luce spenta e buona notte. In effetti la notte trascorse beatamente tranquilla e fu una lunga notte rotta solo da un vero e proprio urlo lanciato da Guido: «Raga!! Giù, giù dal letto! Sono le 8 passate! NOn abbiamo sentito la sveglia!!». Un salto precipitoso, una ricerca affannosa degli indumenti da indossare con frenesia poi quando si era quasi pronti fummo di nuovo investiti da altre urla: «Raga, raga, la neve! Siamo sommersi!». Ci affacciamo allarmati alla porta della stanza che si affacciava sul corridoio di ingresso: Guido aveva aperto il portoncino. Che spettacolo! Un muro di neve! La parete innevata formatasi dall’ammassarsi della neve sul portone mostrava solo uno spiraglio di luce verso la parte superiore del portone. Corriamo verso la parte opposta del corridoio che conduce ad un secondo ingresso alle camerate, il portoncino è stato dimenticato aperto e l’ingresso è letteralmente invaso dalla neve. È da qui però che decidiamo la sortita perché è l’uscita che si affaccia sul Circolo e sulla Mensa, in prossimità dell’ufficio Comando. Occorre però bardarsi in modo più opportuno. Tuta da lavoro invernale, calzettoni e scarponi in vibram. Cappello con falde letarali e guanti. Fatto ! Si esce e scoppia subito la guerra a palle di neve! Sta ancora nevicando! Non è facile camminare, si affonda e si scompare! Si riemerge e si è raggiunti da altre pallate! Passa la sfuriata di gioventù e ci rendiamo conto che di fronte a noi non esiste che neve. Le foto che accludo a questo punto del racconto non fanno riferimento proprio a quel giorno, ma sono molto esplicative se vi aggiungete almeno circa un metro di neve in più



Non si vedono più né il Circolo, né la mensa, né il Comando. Si odono solo voci attutite di altre persone che si chiamano a vicenda. Entriamo anche noi nella discussione urlando per cercare di capire chi stava parlando e cosa si potesse fare. Giunse così la voce del Comandante che ci fece capire che dovevamo cercare di creare dei varchi percorribili. Nella stanza delle caldaie ci sono almeno un paio di pale ed alcuni secchi.

Caldaie a legna cari lettori! E spesso senza legna anche! Anzi colgo l’occasione dell’inciso per inserirvi una foto che Vi lasci capire quali erano le condizioni di quei tempi. Penso che abbia anche un valore didattico! Questa è una notte passata in bianco nel vano tentativo di riaccendere una di tali caldaie!

Una volta armatici di badili cominciamo a spalare. Il muro che si forma ai nostri lati è ben più alto di noi, quindi altezza media della neve circa 2 metri! Indirizziamo il nostro percorso verso il Comando. Ci guida l’aver trovato il marciapiede che delimita le aiuole che portano giusto alla palazzina comando. Giunti nei paraggi incontriamo l’altra squadra che aveva creato un sentiero dalla casa del comandante all’infermeria e da lì al punto del nostro incontro. Aperto l’Ufficio comando il Comandante inizia i tentativi di collegamento telefonico con il mondo esterno, ma alla fine si deve arrendere: la linea telefonica è isolata. Manca anche l’energia elettrica! Quindi non sono disponibili neppure i collegamenti radio. Occorre mettere in moto i due gruppi elettrogeni di emergenza disponibili, si attende quindi l’intervento dei gruppisti che già si sono portati verso la centrale elettrica (posta un po’ fuori mano in quanto rumorosa quando i gruppi funzionano). Il Comandante ci assegna alcuni incarichi: Guido deve portarsi verso l’autoreparto occorre mettere in azione lo spartineve di dotazione (da tre anni aspetta di entrare in funzione: speriamo bene!).

Una volta in moto occorre pulire per primo le vie interne alla zona logistica. A noi radaristi l’incarico di raggiungere la sala radio (che era contigua alla Centrale Elettrica) per vedere se è possibile ristabilire i contatti radio una volta disponibile l’energia elettrica. Ognuno parte per la propria strada. Il Comandante ha una preoccupazione sopra tutte: non si riescono ad avere notizie dalla Zona Operativa.

La Zona Operativa, sede delle apparecchiature Radar, (si trovava a nel mezzo del bosco in un’area chiamata Torre Palermo a circa 8 chilometri dalla Zona Logistica dove il personale alloggiava e consumava i pasti, ecco una mappa Google che mostra le due Zone raggiunte da una strada che si snoda nella bellissima foresta), non è collegata telefonicamente con noi e non sappiamo quali siano le loro condizioni. Si spera di poter avere notizie. Mi sembra di capire che chi legge queste righe resti un po’ meravigliato dal tono allarmistico delle parole, quindi per far comprendere la situazione voglio cercare di risvegliare in voi una possibile immagine: fingete di trovarvi in una zona residenziale altezza delle palazzine che vi circondano circa 4 metri al colmo del tetto. Siete per strada e avete di fronte solo muri di neve che non vi permettono neppure di intravedere il colmo dei tetti di dove abitate. Questa è grosso modo l’immagine che dovete ricreare nella vostra mente. Penso che se riuscite ad astrarvi e a portarvi sul posto al nostro fianco potrete capire la gravità della situazione. Arrivano all’Ufficio comando anche due Guardie Forestali, inviate dall’Amministratore. Anche la Forestale è nelle nostre stesse condizioni isolata dal resto del mondo. Con una ruspetta di cui dispongono sono riusciti a farsi spazio fino alla strada statale. Ma adesso non dispongono più di carburante! Il Corpo Forestale aveva i suoi uffici e le abitazioni di fronte a noi a circa 200 metri dai cancelli di ingresso della logistica, ci divideva la Strada Statale n° 528. Non nascondono la loro preoccupazione perché sono anch’essi tagliati fuori da ogni collegamento e sprovvisti di energia elettrica inoltre nelle abitazioni vivono alcune famiglie con bambini. Dopo notevoli e faticose operazioni si riesce a rifornire un gruppo elettrogeno, a metterlo in moto e a ridare corrente a parte della base. Quella essenziale. Si appura che i telefoni non funzionano per problemi alla linea aerea che in palizzata portava il doppino telefonico dalla nostra centrale telefonica, attraverso il bosco di Umbra su fino al Monte Sant’Angelo. Fortunatamente è stato ristabilito un collegamento con la Zona Operativa. Il personale è intrappolato nel bunker. Qualcuno ha cercato di raggiungerla zona dei gruppi, ma gli stessi sono completamente coperti di neve. Proveranno a liberarne uno per poi tentare di metterlo in moto.



La neve ha smesso di venire giù, ma si è levato un forte vento che sposta letteralmente la neve da un lato e la ammassa in un altro. Lo spazzaneve è stato messo in azione e pur mancando l’esperto manovratore con qualche difficoltà si è riusciti a liberare le principali strade interne. Il problema è che il mezzo toglie la neve dalle piccole strade ma la egetta su un fianco per cui in alcuni posti non si sa da che parte dirigere i getti. Ci si è comunque resi conto che non sarà facile liberarsi di tutta quella neve con quel tipo di spazzaneve. Una voce dice che ce l’avevano assegnato convinti che non sarebbe poi servito veramente. Il comandante riunisce il personale sul piazzale della bandiera, che è stato in gran parte pulito, e fa il quadro della situazione. La media di neve che ci ha sommerso è di circa 2 metri. L’unico contatto radio stabilito con Monte Sant’Angelo ha permesso di farci sapere che tutto i Gargano è sotto un simile manto di neve. Non sono previsti per il momento possibili aiuti dall’esterno. Fortunatamente la situazione scorte viveri è sufficiente a fornirci un’autonomia di circa 4 giorni, quindi non dovremmo temere i morsi della fame. Il problema principale è la mancanza di medicinali. È stato ricoverato in infermeria il Sergente Maggiore Torsello che necessita urgentemente di farmaci, occorrerà quindi come prima cosa cercare di raggiungere il paese più vicino Vico del Gargano (a 14 km) per approvvigionarsi di medicine. Il personale della Zona Operativa è stato autorizzato ad abbandonare la postazione tranne tre persone che dovranno svolgere funzione di guardiania e che possono superare la permanenza con la scorte dei viveri di emergenza. Si sarebbero portati a piedi verso la logistica. Il Capitano Cianchetta Aldo, l’ufficiale più alto in grado in servizio in Zona Operativa, dopo aver mandato qualcuno in avanscoperta aveva assicurato che avrebbe potuto raggiungere la logistica con il gruppo di persone (circa 25 unità). Sarebbero partiti l’indomani mattina alle prime luci dell’alba. L’indomani stesso avremmo cercato di utilizzare lo spartineve per aprirsi un varco verso Vico del Gargano in modo da poter risolvere il problema medicinali ed anche quello delle scorte viveri. Eravamo così giunti alla sera, a pasto un panino alla mano per non rubare il tempo alle attività, la cena calda a mensa, una ricca cena innaffiata da vino e perché no anche di risa. Aveva ripreso a nevicare anche se non con lo stesso ardore di prima. A letto stanchi e spossati in attesa di un’altra dura giornata e pregando che la notte fosse clemente.



L’indomani mattina dal Magazzino Ordinario (era il responsabile alla nostra vestizione) indossammo la tuta d’alta montagna, scarponi da neve, guanti di lana e passamontagna. Al circolo per una buona colazione e poi riunione con il Comandante. Stabilito che lo spartineve (non era uno spazzaneve classico quello munito di pala anteriore, ma uno provvisto di un rullo anteriore che ruotando raccoglie e convoglia la neve ad una bocca di uscita da dove viene espulsa con forza lontano dal ciglio della strada liberata) si sarebbe avviato per Vico del Gargano, fu scelto anche il personale che si sarebbe recato al paese. Fui scelto perché ero l’unico che aveva stabilito uno stretto rapporto con il paese, mi ero fidanzato ufficialmente con la bella figlia del signor Lombardi il responsabile della Cabina dell’energia elettrica che alimentava il Reparto (avrei così anche attinto notizie sulla situazione della fornitura elettrica da parte della società che ci alimentava) ed ero anche prossimo al matrimonio (mi sposai 4 mesi dopo). Sarebbero scesi con me altri tre colleghi per le scorte viveri.

Tutto era pronto. Lo spartineve è gia uscito fuori dal cancello ed ha cominciato ad allenarsi pulendo il largo stradale che collegava (e collega) il nostro cancello a quello dell’Amministrazione Forestale. Il mostro (così chiamerò lo spartineve) era in moto e messo in direzione di Vico, noi quattro pronti e armati di pale eravamo saliti su una campagnola dietro ad un autocarro leggero che era stato caricato con sale da spargere sulla strada e con taniche di combustibile per sfamare il mostro. Il mostrò sbuffò e si lanciò all’assalto del muro. Sarebbe stata proprio una lotta dura. I primi 50 metri furono a favore della macchina e fecero capire che la neve era dunque battibile, anche se ci sarebbe voluto molto per vincere. Il mio dubbio maggiore sul successo scaturiva, mentre il mostro lottava, dallo sguardo sul manto continuo di neve, non si riusciva a capire dove si era nascosta la strada.

Poi alla prima vera curva (questa che vedete a fianco presa da Google Map e alla quale occorre aggiungere circa 2 metri dineve!) il mostro ruggì in modo spaventoso, si girò su se stesso, urlò, urlò per poi improvvisamente cadere in un silenzio poco promettente. Tutti noi rimanemmo di sasso. Si capì subito che non c’era più niente da fare. Dalla posizione in cui si era fermato, di traverso alla sede stradale e paurosamente inclinato, il mostro non sarebbe mai più potuto ripartire, fu in seguito appurato che si era rotta la trasmissione. Tutto il programma era andato in fumo. Nell’ora che seguì con la ruspetta del Corpo Forestale (eccone una in figura dello stesso tipo) si cercò almeno di togliere il mostro dalla posizione in cui si trovava che era di intralcio ad altri eventuali veicoli che avessero voluto tentare di scendere verso Vico. Il risultato fu di peggiorare la situazione, il mezzo era troppo piccolo per spostare il mostro. Cosa fare? Fu presa una decisione immediata: ci vuole qualcuno che scenda a Vico del Gargano almeno per le medicine: erano urgenti e necessarie. Il Comandante mi chiese se me la sentivo. Non ebbi un attimo di dubbio, si scendo. Dal magazzino materiale ordinario mi furono portate una coppia di racchette da neve ed un capiente zaino a spalla. Un gruppo di colleghi che aveva fatto capannello vicino allo spazzaneve, mi dava consigli dei più disparati, tutti, però vestiti da un’aria ilare di sfottò! Tipo: Ma dove vai! Ah l’amore che fa fare! La strada, la conosci, come fai a trovarla in questo mare di neve! (lo riporto in termini cortesi ma le parole impiegate furono più colorite!)



Ecco, in figura, il percorso che avrei dovuto seguire. Facile qui! Molto arduo allora!

Calzo le racchette e provo a camminare sulla neve. Riflettei sul fatto che la strada non si vedeva! Una sensazione mista tra sconforto e riflessione, ma il dado era ormai tratto!, non potevo rimangiarmi la decisione! Forza, si va!. Sono le 8.40! Quanto ci vorrà?

Scendevo con la massima attenzione, man mano che procedevo acquistavo fiducia in me stesso. Tranne che in alcuni punti, non si affondava molto con le racchette anche se il procedere era abbastanza faticoso. La strada era facilmente individuabile dal fatto che gli alberi che crescevano sulla cima dell’alto costone (creato dalle ruspe che avevano inciso il bordo per tracciare e realizzare il percorso stradale), anche se pressoché scomparso, a dimostrare che la neve era alta tra il metro e mezzo e i due, dava ancora il senso del percorso da seguire. Così non fu difficile raggiungere, anche abbreviando a volte il percorso col tagliare le curve, come quella a gomito nota come “curva Savastano”, e da qui giù con sufficiente tranquillità fino alla zona conosciuta come la “piscina dei morti”. Qui giunto mi trovai di fronte ad un vero e proprio muro di neve. Per effetto del forte vento del giorno precedente la neve si era ammassata sul costone della curva ed aveva cancellato ogni possibile elemento di riconoscimento. La neve inoltre perdeva in queste zone la necessaria consistenza ed era così soffice che avanzando tendevo a scomparire con le gambe all’interno e quindi a rendermi impossibile l’avanzare. Mi preoccupava anche il sapere che da qualche parte che non riuscivo a localizzare c’era la “Piscina dei morti! Lugubre nome!” che consisteva in una contenitore cilindrico costruito in cemento per raccogliere la pioggia e mettere un po’ di acqua a disposizione degli animali che pascolavano nel territorio circostante. Fui preso da un momento di scoraggiamento, ma non avevo affatto intenzione di tornare indietro, sarebbe stata una sconfitta. Fu così che decisi di risalire di qualche centinaio di metri e di abbandonare il tracciato stradale per discendere il costone e raggiungere un canalone che conoscevo per esserci andato in momenti migliori a raccogliere le nocciole da una fila di alberi che crescevano proprio lungo il canalone. Continuando su quel lato avrei evitato la piscina e mi sarei riportato , tenendo il bosco ben distante sulla destra a ritrovare il bosco in prossimità di Sfilzi. La scelta fu premiata dal fatto che più giù mi trovai in una zona dove l’effetto del vento aveva sortito il risultato opposto, così mi fu possibile risalire sul percorso stradale e di li a breve raggiungere la zona della caserma della forestale di Sfilzi! Le 14.30 erano trascorse già circa sei ore dalla partenza. La neve era sempre alta ma faceva presagire che pian piano potesse diminuire di quantità anche se sapevo che più avanti cominciava adesso un percorso fuori bosco che avrebbe potuto essere stato battuto dal vento ed aver creato gli ammassi di neve che avevo già sperimentato. Da Sfilzi addrizzai un paio di curve e mi ritrovai sul rettifilo, che portava Dopo qualche chilometro sarebbe finito inoltre il fitto bosco di Umbra e cominciava un territorio meno alberato che avrebbe reso più difficile individuare la strada anche se sarebbe stato molto meno pericoloso prendere a piedi percorsi sbagliati (non c’erano profondi dirupi). Rinfrancato proseguiì il percorso, lasciai dietro di me il bosco stavo per raggiungere “Il Parchetto” una zona che già allora accoglieva gli amanti del “Picnic”




Le gambe cominciavano a non essere come prima ma riusciì ad avanzare senza intoppi. Giocava a mio favore proprio quell’effetto che temevo avrebbe potuto rendermi la vita difficile cioè l’accumulo della neve causata dal vento, che tirava anche allora forte tanto da farmi spesso credere che avesse ripreso a nevicare ma che aveva creato gli accumuli svuotando in molti punti proprio il percorso stradale. In un lungo tratto il tratto stradale era facilmente individuabile e mi consentì di camminare lentamente ma con maggior tranquillità. Il tempo scorreva veloce, mi sembrava di aver camminato velocemente, ma l’orologio segnava le 17.00, quando mi affacciai alla zona conosciuta come “i Lummetoni”.

Di fronte a me si affacciava l’ultima parte del viaggio, due rettilinei , che raddrizzai e l’ultima rampa. Non era invitante perché appariva coperta da un notevole manto di neve. Ma Vico mi aspettava di fronte a poco più di 1 Km. Ancora qua e là alte dune di neve, ma ormai la metà era vicina conoscevo la zona per averla frequentata in cerca di “cardarelle” e quindi sentivo di essere in dirittura d’arrivo. Così in un tempo che mi sembrò brevissimo mi trovai verso le 18.00 in mezzo alle prime case di Vico. La strada faceva capire che avevano tentato di aprire un sentiero per Umbra, ma che l’impresa era superiore ai mezzi disponibili. Ancora qualche centinaio di metri e sarei arrivato al Bar K2 (il nome era proprio indovinato per quella giornata: avevo conquistato il K2!). Quando cominciai ad addentrarmi nel paese fui circondato da una frotta vociante di ragazzini. Si capiva che nessuno si sarebbe atteso di vedermi comparire e che rappresentavo un avvenimento. Giocava a favore della sorpresa anche l’abbigliamento: la tuta d’alta montagna era alquanto ingombrante e faceva pensare più ad un alieno che ad un semplice sergente dell’Aeronautica. Molte persone cominciarono a chiedermi notizie, chi disinteressatamente chi invece perché voleva capire che possibilità ci fossero per raggiungere proprietà, animali e posti. Dopo aver bevuto il bicchiere (non bicchierino) di grappa che il proprietario del bar mi offrì, mi recai a casa della fidanzata dove fui accolto con stupore e piacere. Ero pieno di soddisfazione per l’impresa. Ero partito alle 8 del mattino ed ero arrivato alle 6 del pomeriggio: circa 10 ore di viaggio.



Nel pomeriggio mi recai dal Dottor Maroni, medico condotto di Vico del Gargano ed anche nostro medico per comunicargli la situazione della nostra infermeria, Dopo aver aggiunto altri medicinali alla lesta dei farmaci in mio possesso ed aver scritto un messaggio per il Capo infermeria mi recai in farmacia dove feci provviste di medicinali. Non mancai di passare per la tabaccheria dove feci un poderoso rifornimento di “fumo”, molti erano stati i clienti che mi avevano scongiurato di visitare Antonietta la tabaccaia (nell’elenco anche il Comandante). Poi una serena e piacevole serata a casa della famiglia della mia futura moglie, dove non trascurai di chiedere notizie al futuro suocero sulla situazione elettrica, che dalle informazioni in suo possesso erano disastrose risultando la linea che portava i 20 KV su ad Umbra in corto circuito, significando quindi che per riparare il guasto occorreva percorrere la linea elettrica e sostituire o degli isolatori o addirittura tratti di cavo aereo. Una dormita saporita e defaticante e alle sette del mattino seguente mi avviai accompagnato da mio suocero al K2 da dove avrei ripreso il mio cammino di ritorno ad Umbra. Non trascurai di informarmi sulla situazione dei collegamenti civili tra Vico del Gargano ed il resto del mondo e seppi che il treno della Garganica aveva viaggiato ed un pulman era salito dalla stazione di San Menaio. Ne ebbi conferma dal Sergente Maggiore elettricista Verrico che rientrava da Roma e che aveva impiegato due giorni per arrivare a Vico. Era vestito con un elegante abito incravattato e con un leggero spolverino sulle spalle. Quello che più colpiva erano le scarpe. Due mocassini leggeri decisamente inappropriati per l’occasione. Dopo avermi chiesto informazioni ed avegli spiegato la situazione decise che se io ero sceso e stavo per risalire lo stesso avrebbe potuto fare lui. Non riuscii a persuaderlo, rispondeva testardamente che asciutto o bagnato sarebbe rientrato ad Umbra. Dopo una colazione che ci fu offerta dal paese ed un caloroso in bocca al lupo partimmo. Normalmente ho, o meglio avevo, un ottimo passo da camminatore, mentre l’amico si trovava chiaramente in difficoltà nel procedere spedito. Viaggiammo in coppia per un lungo tratto trattenendo il passo per attenderlo e un paio di volte per aiutarlo a sollevarsi da terra. Le cadute provocavano ogni volta un peggioramento nelle condizioni della sua tenuta tanto che il cappottino era completamente fradicio. L’amico aveva però un carattere gioviale. testardo anche se un po’ da spaccone, come dimostrò ad un certo punto quando urlando richiamò la mia attenzione, facendomi preoccupare per la sua condizione e tornare di fretta indietro per portargli il mio presupposto e necessario aiuto. Giunto al suo fianco mi indicò un punto nero sul costone accanto dicendo: «Guarda laggiù, quella è o una volpe o una lepre! », poi finito di parlare mise mano alla tasca ne estrasse una rivoltella, puntò mirò e sparò una, due e tre volte finché soddisfatto urlò: «Centrata!». Non mi sembrò che avesse colpito il bersaglio, ma aveva sicuramente colpito la mia pazienza, tanto che dopo averlo inviato a farsi benedire gli dissi che il mio compito non era quello di cacciare né quello di badare a lui e che avendo dei medicinali da portare con urgenza all’Infermeria non potevo più perdere tempo. Nel tempo di pochi munuti l’avevo gia perso d’occhio. Dopo breve incontrai una campagnola di alcuni proprietari di bestiame che avevano cercato di raggiungere le mandrie e che rientravano perché non erano riusciti a superare le difficoltà. Mi chiesero dove diavolo stessi andando e si profusero in raccomandazioni perché tornassi indietro con loro. Reclinai l’invito e raccomandai invece di convincere l’amico che avrebbero incontrato poco dopo di rientrare a Vico con loro e ripresi la marcia. Non feci altro che cercare di ripercorrere la strada fatta il giorno precedente e senza particolari intoppi raggiunsi la logistica impiegando all’incirca solo una mezzora in più del giorno precedente. Fui accolto con un calore indicibile in particolare dai fumatori e dal Sergente Maggiore Torsello che potè tranquillizzarsi sapendo che avevo portato i medicinali a lui necessari. Nel frattempo nella stessa mattinata erano giunti in logistica anche il gruppo proveniente dalla Zona operativa. Un altro ricordo prima di chiudere questa cronaca di una grande nevicata. Come ricorderete la nevicata iniziò la notte di martedì 9 febbraio. Il reparto era vissuto per la maggioranza dei suoi componenti da pendolari che salivano ad Umbra provenendo da zone limitrofe e lontane. I viciniori rientravano in serata a casa mentre molti che risiedevano lontani venivano su con i mezzi propri, parcheggiavano le loro auto che riprendevano i sabato a mezzogiorno per ripartire per casa. Le vetture venivano parcheggiate nella zona che si apriva tra le camerate (dal lato prospiciente quello con il quale abbiamo iniziato il racconto quando fumavamo le sigarette prima di andare a dormire) ed il recinto di confine della Zona Militare. La zona era completamente sommersa dalla neve. Dopo qualche giorno i proprietari delle macchine cominciarono a preoccuparsi e volevano cercare di scoprire il luogo preciso così da poterle poi riportare alla luce.

Tra i vari proprietari il maresciallo Crisantis, era quello più agitato. Possedeva una vecchia, ma smagliante Fiat Topolino, il modello decappottabile che era il suo orgoglio. Fu così che una mattina decise di cercarla, si fece accompagnare da altri due colleghi che avevano la loro vettura parcheggiata vicino alla sua e dopo un’analisi topografica di merito per stabilire dove potessero essere le vetture decise di portarsi in un punto preciso per cominciare a spalare. Cominciarono tutti e tre insieme. Poi dopo un breve momento di palate, il Maresciallo Crisantis individuò finalmente la posizione della sua amata macchina! Fu in un attimo, un grido e scomparse completamente nella neve! Era entrato nella sua amata Topolino! Però vi entrò dalla parte sbagliata! Dal tettuccio, sfondando la cappotta di copertura! Fu così che i tre ritrovarono le loro macchine, che quando tornarono alla luce mostrarono tutte delle notevoli ammaccature sul tetto causate da chi vi aveva già passeggiato sopra! Anche questa divertente storia può servire a capire che razza di nevicata fu quella del 9 Febbraio 1965. Dovettero passare ancora 5 giorni prima che le strade fossero liberate. Gli elicotteri della protezione civile di allora avevano nel frattempo provveduto a lanciare alimenti per il bestiame intrappolato dalla neve e sacchi di patate nelle masserie abitate. Nel frattempo il Sergente maggiore Torsello si era ristabilito e il suo letto in infermeria era stato preso dal sergente maggiore Verrico che si era beccato una pesante broncopolmonite. Qualche giorno più tardi sbarcò a Vico una ruspa immensa e poderosa: un Caterpillar proveniente dal Reparto Lavori di Palese Macchie che cominciò a ripulire la strada su fino alla Zona Logistica e da lì fino alla Zona Operativa. Fece con la sua potenza piazza pulita della neve e non solo. Fece infatti, tanti ma veramente tanti danni. Di questa possente macchina, ecco le foto del tempo, le uniche purtroppo che possano testimoniare nella realtà quanto gravi fossero stati quei momenti: le prime due, sopra, riprendono la macchina che sta salendo da Vico e tra mille peripezie cerca la strada! L’ultima quando è finalmente arrivata in Zona Operativa a Torre Palermo. Sono trascorsi già più di 10 giorni e come si vede la situazione è ancora critica.

Il risultato fu, si la riapertura dei collegamenti ma anche: cancelli abbattuti, cavi elettrici tranciati e pali di linea divelti. La Fiat 500 del Sergente Fasoli, abbandonata nella curva Savastano la notte della nevicata solo miracolosamente non fu travolta, ma poco intelligentemente sollevata e posizionata su un cumulo di 3 metri di neve dove rimase fino a di Marzo inoltrato. Infatti la 500 si trovava sul cumulo in una zona dove il sole non faceva mai la sua comparsa e così la neve accalcata tardava a restituire ciò che conservava con tanta gelosia! (riporto una foto della curva con una ricostruzione manuale della sua posizione!) A Fasoli non restava che andarla a vedere di tanto in tanto, sperando che scendesse in verticale senza cappottarsi, come in effetti avvenne!!!

Pino CHIUCINI




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