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IL PRESENTE SI FA STORIA

L’incomprensione del presente nasce inevitabilmente dall’ignoranza del passato. Ma non è forse meno vano affaticarsi nel comprendere il passato, se non si sa niente del presente”.

Marc Bloch, Apologia della storia, p. 36

Il titolo scelto trova una sua casuale corrispondenza con il titolo di un libro di “Storia dell’Arte”, autori Cecilia De Carli, Francesco Tedeschi, scritto in onore del Critico d’arte Luciano Caramel che vuol proporci la tesi che il presente debba essere affrontato sapendo che il ‘contemporaneo’ è destinato a divenire storia, e che nel presente vive il passato.

Quelli della mia età ben ricordano che, nei loro studi, la storia si fermava alla prima guerra mondiale. Era palese allora la convinzione che le valutazioni sul periodo successivo, relative al fascismo, alla seconda guerra mondiale ed alle sue conseguenze non potessero fornire allo studente l’obbiettività necessaria ad un equilibrato apprendimento.

La Storia contemporanea fa la sua prima comparsa con le passioni e le manifestazioni giovanili degli anni Sessanta. È in questi anni che lo storico sente il bisogno di non potersi distaccare dai problemi esistenziali e politici del momento che vive.

AGOSTO 1962

Finalmente, l’assegnazione al Reparto!

Dopo due anni di addestramento, diviso tra la Scuola Specialisti di Caserta, che si trovava connessa direttamente alla stupenda Reggia di Caserta, e il Centro Tecnico Addestramento – Difesa Aerea Territoriale (CTA/DAT) di Borgo Piave in provincia di Latina, era arrivato il momento della destinazione definitiva.

Caserta, Scuola Specialisti Aeronautica Militare



Qui entravano i novizi specialisti o le “burbe” come chiamati in gergo militare, io vi entrai il 7 Novembre 1960.

Borgo Piave (LT), CTA/DAT Centro Tecnico Addestramento/Difesa Aerea Territoriale



Qui entravano i “nonni” coloro, cioè, che avevano ormai guadagnato il primo grado: “Aviere Scelto! Varcai questo ingresso nel Settembre del 1961,

Avevamo finito il Corso di specializzazione quello di Tecnici Radio svolto a Caserta e quello più “tosto” di Tecnici RADAR o meglio, come la specializzazione ci definiva, “Marconisti Radarmeccanici”. Potevamo adesso mettere in atto le nostre conoscenze sia negli Aeroporti Militari sui Radar di avvicinamento e decollo, sia nelle Stazioni Radar addette alla Difesa Aerea Territoriale e al Controllo del traffico aereo civile e militare. Eravamo tutti felici: questo era il passo definitivo, quello che ci avrebbe portato, soddisfatti, nei luoghi scelti. Questo era almeno, il sentimento che provavano quasi tutti i partecipanti al 20.mo corso Radarmeccanici.

Non era il sentimento che provavo io che, in qualità di primo del corso, avrei dovuto essere assegnato per “meriti” all’Aeroporto Militare di Grosseto, città nella quale vivevo prima dell’arruolamento, e dove da poco era stata trasferita l’Aerobrigata di stanza a Pratica di Mare. Il Direttore dei Corsi, che giorni prima mi aveva assicurato che sicuramente quella sarebbe stata la mia destinazione, mi chiamò in Direzione per comunicarmi che un mio collega, raccomandato da un pezzo grosso, era stato assegnato nel luogo che mi era stato promesso! L’unico vantaggio che mi fu offerto fu quello di poter scegliere tra la Provincia di Udine e quella di Foggia. Scelsi quella di Foggia, me tapino, convinto dall’amore per il caldo sole!

In seguito verrò a sapere che la cosa non era vera e che i primi del corso erano stati, tutti, assegnati ad uno dei nascenti Centri Radar, uno in Veneto, Lame di Concordia e l’altro un Puglia, nel Gargano a Monte Jacotenente all’interno della Foresta Umbra, che dipendevano direttamente dalla NATO e che saranno dotati di apparecchiature del tutto nuove nel mercato tecnologico del tempo. Chi architettò questa scelta furono i due Ufficiali che andranno a Comandare il Reparto tecnico di Lame di Concordia e di Jacotenente, rispettivamente gli allora Capitani Ennio Chiaruttini e Antonio Losasso.

Partimmo, di buonora, eravamo in dieci, sette dei quali destinati a Jacotenente, dalla Stazione ferroviaria di Latina la mattina del giorno Venerdì 10 Agosto. Con l’incarico di responsabile del gruppo, mi furono consegnati tutti i documenti di viaggio e mi fu assicurato che alla Stazione di Foggia ci avrebbe atteso un mezzo militare per portare noi e la quantità enorme di zaini, valigie, borse e sacchetti all’Aeroporto di Amendola prima tappa di un successivo avvicinamento alla nostra destinazione finale che prevedeva anche una successiva tappa al Centro Radar di Vieste.

Di Venere e di Marte non si arriva e non si parte! Vero!

Arrivammo nel pomeriggio bollente a Foggia e carichi come facchini ci portammo sul piazzale della Stazione per cercare il mezzo che avrebbe dovuto portarci ad Amendola. Non era ancora presente e non lo fu nelle seguenti due ore. Alcuni tassisti si offrirono per accompagnarci, solo quando capirono che non potevamo permettercelo economicamente ci lasciarono in pace. Così telefonammo al Corpo di Guardia dell’Aeroporto di Amendola e non fu facile convincerli che noi eravamo 10 Avieri Scelti provenienti dalla Scuola Addestramento di Borgo Piave e che attendevamo di essere prelevati sul piazzale della Stazione di Foggia. Dopo un’ulteriore lunga attesa riuscimmo a salire su un autocarro militare che ci portò all’ingresso dell’Aeroporto.

Li giunti non fu facile convincere i responsabili, nonostante i documenti in possesso, che, provenivamo dal CTA DAT di Borgo Piave, e che eravamo stati assegnati temporaneamente ad Amendola. Fummo accolti dall’Ufficiale di Picchetto che si trovò a disagio nel comunicarci che nessuno ci attendeva e che non aveva alcuna disposizione sul nostro arrivo e conseguente sistemazione. Avremmo dovuto aspettare fino a quando non avesse ottenuto dall’Ufficio Comando del Reparto qualche direttiva sul da farsi.

Stanchi ed avviliti, restammo in attesa della decisione sulla nostra sorte che arrivò poco dopo con la comunicazione che potevamo portarci momentaneamente in una camerata degli Avieri VAM, temporaneamente disponibile perché gli occupanti erano in licenza per le Festività di Ferragosto. Saremmo poi stati in seguito sistemati in maniera definitiva.

Cominciò così il primo giorno di vita militare extra scolastica. Cominciò anche il nostro primo impatto con l’ambiente del Tavoliere pugliese: la notte trascorse in bianco lottando con nuvole di zanzare che, a corto di alimentazione da qualche giorno, ci aspettavano con avido appetito!

L’indomani mattina arrivò la notizia che eravamo stati presi definitivamente in forza anche se rimanevano in attesa di chiarimenti. Ci fu assegnato il posto letto in altra palazzina e ci furono forzatamente concessi 5 giorni di permesso.

I sette erano, oltre al sottoscritto Giuseppe Chiucini grossetano, un sardo Tuveri Giuseppe, un milanese Paolo Relli, un sarnese Aniello Auletta, e tre pugliesi, il manfredoniano (quindi un locale) Bernardino Perillo, il brindisino Giovanni Petracca e il tarantino Raffaele Moretti.

I pugliesi approfittarono dei giorni liberi per recarsi presso le proprie famiglie, Tuveri, Relli, Auletta e il sottoscritto decisero di fare un giro nei dintorni per scoprire dove fosse la mèta, destinazione del nostro viaggio di avvicinamento: Monte Jacotenente, nel mezzo della Foresta Umbra.

Il sabato sera noleggiammo a Foggia una “sofferente” FIAT 600 con la quale saremmo partiti l’indomani alla volta di Monte Sant’Angelo. Con l’allegria della giovane età, nonostante l’amaro della destinazione e dell’accoglienza, partimmo per un tragitto che avevamo tracciato su una vecchia e pressoché illeggibile cartina geografica e che ci avrebbe portato prima a Manfredonia, poi a Mattinata e da qui a Monte Sant’Angelo. Presa con calma e con lo spirito caratteristico dei turisti ci fermammo nella bella Manfredonia, nell’incantevole Mattinata e da li salimmo verso Monte Sant’Angelo che raggiungemmo verso le 11 dopo una serie interminabile di curve. Attraversato il Centro città parcheggiammo la 600 in prossimità del santuario di San Michele appena fuori del paese.


La nostra intenzione era quella di chiedere informazioni su Monte Jacotenente, la cui vista alcuni sostenevano fosse percepibile da un belvedere di Monte Sant’Angelo. Il primo approccio turistico fu quello di visitare il bellissimo Santuario rimanendo di stucco per l’avvincente e misteriosa bellezza del luogo. Poi due passi per il paese che ci consentirono di prendere confidenza con il luogo e realizzare che i suoi muri erano tappezzati di manifesti che chiaramente e seccamente riportavano scritte di questo tipo:

Via gli Yankee da Umbra!, Yankee go home!” Oltre a No! Ai missili in Foresta Umbra!”.

La cosa ci lasciò stupiti: perché “Yankee” e ancor più preoccupante perché “Missili”?

Per cercare di capire e prima di chiedere notizie su Jacotenente (era meglio non far sapere il perché eravamo interessati), decidemmo di informarci sui motivi di quei manifesti.

Fuori del Santuario, dove ci avevano indicato il “Belvedere” - oggi c’è la Casa del Pellegrino - si trattenevano nella bella giornata alcuni gruppi di paesani. Ci avvicinammo e innocentemente chiedemmo della ragione di quei manifesti. Uno dei paesani prese la parola sugli altri e con una certa animazione ci rispose che il paese non voleva che nella vicina Foresta Umbra venissero montate delle testate missilistiche nucleari! Nascondendo la sorpresa (si pensi che noi eravamo stati destinati là!) e a fronte di questa chiara affermazione, intervenni nel discorso chiedendo:

«Missili!? Come fate a pensare che stiano installando missili e addirittura nucleari

«Mio nipote lavora a Monte Jacotenente, a “Torre Palermo” (così si chiamava la zona dove si svolgevano i lavori in argomento) e stanno costruendo degli enormi basamenti in cemento. I ferri che usano nell’armatura sono così …» e fece un gesto con le due mani per mostrare un cerchio grande come un bicchiere!

«Anzi, aspettate un attimo ..» si spostò un attimo e gridò verso un gruppo poco distante da noi:

«Pietro,… Pietro…» un uomo si voltò..

«Vieni un attimo qui.». L’uomo lasciò il suo gruppo accennando ai componenti di aspettarlo e venne verso noi.

«Pietro spiega a questi giovanotti dei missili di Umbra, non ci credono!»

Pietro non rispose subito, forse valutando la nostra giovane età, i nostri volti estranei e forse anche il taglio dei nostri capelli che, sicuramente, poteva suggerirgli il nostro “mestiere”! Per aiutarlo a vincere la diffidenza, ripresi la parola e gli dissi:

«Non ho detto non ci crediamo, chiedevo solo come faceva ad affermare che i lavori che stanno facendo si riferiscano a rampe per missili.»

L’intervento servì a sciogliergli la lingua:

«Perché non ci sono altre spiegazioni, ecco perché! I lavori in cemento sono eseguiti con enormi armature di ferro e lasciano pensare che servano per sostenere un forte peso o una forte spinta come se dovessero essere utilizzati come basi di lancio di un missile

Si fermò un attimo e visto che eravamo un po’ sorpresi, proseguì:

«Inoltre, nel comizio di protesta, che si è svolto giorni addietro, un Compagno (chiaramente a quei tempi uno del Partito Comunista) ci ha comunicato che nelle Murge sono già state montate da anni altre basi missilistiche. Tutte con missili armati di testata nucleare! »

«Sono missili, credetemi! Scusate ma debbo lasciarvi. Arrivederci.» e ci lasciò per ricongiungersi con il gruppo lasciato.

«Visto, che vi avevo detto. Sono per i missili.»

«E’ un bel problema risposi!» e salutammo.

Non era proprio il caso di chiedere informazioni su Monte Jacotenente… pericoloso!

Il racconto e la sua convinzione aveva lasciato anche in noi una certa sorpresa: che legame poteva esserci tra noi tecnici radaristi e l’altra specialità aeronautica: quella dei missilisti? Dopo una visita più turistica alla cittadina, ci rimettemmo in macchina per riportare a Foggia la 600.

NR: Mi ricollegherò a questa parte del racconto più avanti quando un altro momento del nostro viaggio verso la destinazione, mi offrirà l’occasione di unire i due accadimenti con una più larga visione e giustificazione geopolitica.

Rientrati ad Amendola, vi rimanemmo fino alla metà di Settembre dedicandoci alle pulizie dell’Hangar San Giovanni (luogo dove venivano mantenute e riparate le apparecchiature elettroniche degli aerei militari in dotazione all’Aeroporto di Amendola), nobile lavoro dedicato alle “burbe” le giovani reclute.

Nota didattica per il lettore: “..solo qualche giorno dopo il nostro arrivo e il nostro impiego come radaristi di “bordo” (controllo e messa a punto delle apparecchiature radar di bordo e del “transponder” IFF), fummo portati vicino al bordo pista dove in una piazzola si trovavano sue aerei: un Texan T-6 ed un Piper PA-28. Erano due aerei che, ci fu detto, saltuariamente potevano essere usati dal Comandante dell’Aeroporto. Un Maresciallo del Laboratorio Radar si sedette accanto a ciascuno di noi e ci insegnò a mettere in moto i due aerei e a seguire la procedura di accensione dei motori per un “opportuno” loro riscaldamento e quella di “test” del sistema radio per mezzo di un collegamento con la torre di controllo.