Siamo a New York. È il 13 marzo 1964. Una giovane donna di nome Kitty Genovese sta rincasando da lavoro. Sono le 3 e 15 della notte. Kitty, dopo essere stata pedinata, viene prima molestata e poi aggredita in strada da un uomo. La ragazza verrà pugnalata e violentata per circa mezz’ora. E a nulla serviranno le sue grida disperate. Solo a conclusione della violenza, qualcuno chiamerà i soccorsi ma sarà troppo tardi: Kitty morirà durante il trasporto in ospedale.
Il suo omicidio causerà una grande ondata di indignazione nel momento in cui si verrà a sapere che in totale circa 38 persone avevano assistito all’aggressione e che nessuno di loro aveva tentato di aiutare la vittima o di chiamare la polizia, se non alla fine della violenza. Come fu possibile tutto ciò?
Secondo la Psicologia Sociale, tutto questo accadde per varie ragioni. In primo luogo, la presenza di più spettatori riduceva il senso di responsabilità di intervenire; in secondo luogo, il singolo spettatore, vedendo gli altri non prestare soccorso, conformava il proprio comportamento a quello degli altri per sentirsi “nel giusto”.
Questo efferato episodio di cronaca nera viene spesso ricordato per evidenziare il potere della cosiddetta <<influenza sociale>>, ovvero quel meccanismo psicologico per cui i comportamenti, pensieri e sentimenti di una persona o di un gruppo di persone sono modificati da un’altra persona o da un gruppo di persone.
Questo meccanismo ci influenza più di quanto pensiamo nella vita di tutti i giorni. È la ragione per la quale si tende a lasciare un rifiuto per terra in un ambiente sporco rispetto a quando ci si trova in un ambiente pulito; è alla base dell’acquisto di un capo piuttosto che di un altro, magari solo perché quella maglia viene indossata dalla nostra star preferita; ed è la motivazione che ci spinge a donare o meno una moneta a un mendicante, a seconda del fatto che lo facciano anche gli altri passanti.
È possibile evitare o, per lo meno, ridurre l’influenza sociale che ci circonda? Non è semplice ma ciò non significa che sia impossibile.
Innanzitutto occorre consapevolezza di noi stessi e di ciò che ci passa per la testa: la meditazione ci aiuta a creare il giusto spazio tra pensieri e azioni e, di conseguenza, ad essere meno influenzabili e a mantenere la nostra individualità. È poi fondamentale avere chiari i propri obiettivi e i propri valori: in questo modo, difficilmente gli altri riusciranno a distrarci dalla nostra rotta (se abbiamo il valore della cura dell’ambiente, non getteremo a terra nessun fazzoletto o sigaretta anche se sono presenti già altri rifiuti). Infine, verifichiamo l’autorità dove per autorità si intende un singolo o un gruppo di individui con personalità autoritaria: stiamo attenti a chi cerca di farci fare cose per soli motivi autoritari, chiedendoci sempre il valore sociale di quelle azioni e il perché vogliono farci fare ciò che ci chiedono.
Dott. Danilo Selvaggio, Psicologo
tel 349 6230779 www.daniloselvaggiopsicologo.altervista.org
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