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Pietro Giannone: un po' di storia


Pietro Giannone nacque a Ischitella il 7 maggio del 1676, figlio dello "speziale" Scipione e di Lucrezia Micaglia.

La famiglia di modeste condizioni lo avviò agli studi, mandandolo prima a scuola dell’arciprete don Gaetano Serra e, poi, indirizzando allo studio della filosofia dall’anziano fra Francesco da Ischitella, lettore giubilato dell’ordine dei Zoccolanti. Non da padre Daniele da Ischitella, dei Minori Osservanti, come ipotizzato da Sergio Bertelli.

Al compimento dei 18 anni, su suggerimento del magnifico Francesco Zorzi, governatore di Ischitella che lo ebbe come copista, fu inviato a Napoli perché si dedicasse agli studi di giurisprudenza con l’aiuto finanziario di trenta carlini al mese dello zio materno don Carlo Sabatelli.

Seguì un primo corso presso il compaesano Giambattista Comparelli, che esercitava il mestiere di Procuratore. Poi, quello di Domenico Aulisio, professore di diritto civile, che lo stimò con molta benevolenza. Fu successivamente praticante e procuratore nello studio del celebre Gaetano Spinelli, vice protonotario e presidente del Sovrano Regio Consiglio.

Nel 1715 era già un avvocato molto affermato. Chiamò presso di sé, a Napoli, il vecchio genitore e il fratello minore Carlo, mentre rimaneva sul Gargano la sorella Vittoria. Pietro, allora, la dotò di tutto e si adoperò per maritarla con il medico Domenico Tura di Vieste.

Da questo matrimonio nacquero i seguenti figli:

1 - Tomaso Cataneo, battezzato il 23/01/1716 e il cui padrino fu lo zio Pietro;

2 –Giovanna Maria, battezzata il 26/06/1717;

3 –Leonardo Antonio, battezzato il 31/01/1720.

4 –Giuseppa Michaela, nata l’8 e battezzata il 9 aprile 1722. Anche questi due nipoti risultano battezzati dallo zio Pietro;

5 –Pasquale Michele Antonio, nato il 13/08/1724 e battezzato il 15 successivo;

6 –Michaela Antonia, nata il 07/10/1726, è battezzata il 09/12/1726;

7 – Petronilla Maria, ultima figlia, battezzata il 02/02/1729.

Vittoria morì di colera il 09/05/1737, all’età di circa 50 anni.

Oltre allo studio della giurisprudenza, coltivò con passione la storia romana, specie quella di Tito Livio. Scoprì così che, mettendo insieme la storia e il diritto in auge al tempo dell’impero romano cristiano, la Chiesa faceva parte dello Stato senza la pretesa di avanzare diritti. Solo successivamente, dopo la creazione del Sacro Romano Impero, essa si collocò al di fuori e al di sopra dello Stato.

Da qui nacque in Giannone l’idea di approfondire questa branca di studio e di renderla di pubblica opinione. Si dette subito a studiare con molta lena per realizzare una Istoria civile del Regno di Napoli. Era tanta la foga per quest’opera che l’aveva programmata in quaranta volumi. Si appartò dalla società, ma non trascurò la sua attività di avvocato: leggeva, studiava e ricercava gli avvenimenti succeduti nel Regno, che avevano caratterizzato la storia e il diritto dello Stato, dei feudatari e della Chiesa.

Egli non intendeva fare, come ebbe a precisare nell'introduzione all’Istoria, un’opera “per assordare i leggitori collo strepito delle battaglia e col romor dell’armi che per secoli renderon [il Regno di Napoli] miserabil teatro di guerra”, né la descrizione dei paesaggi, della fertilità dei luoghi, dei monumenti delle città, ma la trattazione della “polizia” (cioè del governo), delle leggi e dei costumi. E confessava inoltre che “non l’avea composta per piacere a’ preti ed a’ monaci ed alla corte di Roma… ; ma unicamente per rischiarare le cose oscure ed ignote del regno di Napoli, … ”.

Dimostrò così la sua scrupolosità, l’attenta disamina dei documenti e la difficoltà nel reperirli, che senz’altro lo fecero apparire agli occhi dei colleghi e di altri studiosi di storia e di diritto, come un uomo serio, riservato, cocciuto, severo con se stesso.

Dopo vent’anni di studi e ricerche, ebbe la soddisfazione di veder realizzata la sua opera, divisa in 4 volumi.

La schiera degli invidiosi crebbe e indusse tanti preti e monaci a bollare il libro come opera del diavolo. A niente servirono le motivazioni del Giannone e quelle delle tante amicizie di altolocati e di studiosi per placare lo sdegno di questi retrivi avversari, che si adoperarono per infliggergli la scomunica. Il viceré, cardinale D’Althan, gli consigliò di rivolgersi direttamente all’imperatore.

Il 23 aprile 1723, dopo aver sistemato la moglie e i figli, ignaro di essere stato scomunicato, fuggì sotto falso nome da Napoli con il cuore straziato, dopo aver sistemato la moglie, Angela Elisabetta Castelli, e la figlioletta, Carmina Fortunata, nel Real Conservatorio di S. Antoniello alla Vicaria e dopo aver lasciato il figlio Giovanni alla cura del fratello Carlo, a cui aveva fatto ampia procura per l’amministrazione dei suoi beni.

Giannone raggiunse Manfredonia, fiducioso di trovarvi qualche veliero in partenza per Trieste o per Fiume. Fu l’amico Tommaso Cessa a trovargli un naviglio in partenza da Barletta e diretto a Trieste. Pattuì la traversata e la partenza venne fissata per l’11 maggio. Per la mancanza di vento, subito dopo l’avvio, il veliero fu costretto ad ancorarsi nei pressi di Vieste e a restarvi per un intero giorno, senza la possibilità di scendere a terra.

Non si può non ipotizzare che, in quelle ore di assoluto silenzio rotto dal debole sciabordio del mare, Giannone non pensasse alla sorella che non vedeva da diversi anni e ai figliocci che aveva tenuto a battesimo,

Ripensava sicuramente anche al cognato, il medico Domenico Tura, che forse l’avrebbe potuto aiutare in questa circostanza, essendo egli molto noto in Vieste. Oltre ad essere Medico della Salute (oggi diremmo Ufficiale Sanitario), ricopriva nel Decurionato incarichi di prestigio, come quello di Capo Eletto con le mansioni di Vice Sindaco, di responsabile della Polizia Urbana, di Assessore di Piazza e anche quello di Tesoriere del Decurionato.

A Trieste Giannone sbarcò il 25 maggio e raggiunse Vienna ai primi di giugno. Qui vi rimase per undici anni, protetto dall’imperatore Carlo VI , da cui ebbe anche una pensione di 1000 fiorini.

Quando Carlo III di Borbone divenne re del Regno di Napoli, Giannone attese il momento più opportuno per poter rientrare in Patria. Soggiornò nel frattempo a Venezia, Modena, Milano e Ginevra, dove conobbe un tale Giuseppe Gastaldi, spia e traditore, che, spacciandosi per amico, lo allettò ad andare in territorio piemontese, facendolo arrestare insieme al figlio.

Dopo 12 anni di prigionia, Giannone morì nella fortezza di Torino, all’età di 72 anni, il 17 marzo 1748, munito dei SS. Sacramenti.

Oltre alla Istoria civile del Regno di Napoli, alla Vita scritta da lui medesimo, scrisse Il Triregno, Professione di fede, Sull’arcivescovo beneventano, I discorsi storici e politici sugli Annali di Tito Livio, Apologia de’ teologi scolastici, Istoria del pontificato di Gregorio Magno e Ape ingegnosa.

Man mano che i tempi maturarono, la validità dell’Istoria Civile ebbe il suo riconoscimento nel Regno di Napoli, a cominciare da Carlo III e da Ferdinando IV di Borbone, che concesse una pensione annua di trecento ducati al “figlio del più grande, più utile allo Stato e più ingiustamente perseguitato uomo che il Regno abbia prodotto in questo secolo".

Matteo SIENA

Presidente della sez. garganica della

Società di Storia Patria per la Puglia


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