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FONTANA VECCHIA E SANTA MARIA PURA

FONTANA VECCHIA E SANTA MARIA PURA

IL GREMBO ANTICO E DIMENTICATO DI VICO


Vivono nel silenzio dei luoghi dimenticati, S.Maria Pura e la Fontana Vecchia. Ai margini del centro storico di Vico del Gargano.

La chiesa, a metà di una strada che scende sinuosa, regala da dietro un cancello candore e semplice geometria di linee. Scendendo ancora, la Fontana Vecchia, sul fondo di un catino naturale, sembra immersa nella luce ferma o appena baluginante di un fondale acquoreo. Le sponde che si inerpicano sui pendii della valle intrecciano cespugli fitti e inselvatichiti. Al centro giganteggiano maestosi platani. Si squamano i poderosi tronchi e le foglie in alto aleggiano appena. Circondano la Fontana di ottocentesca eleganza, a due vasche sovrapposte e decrescenti. Le sostiene un basamento ottagonale sulle cui facce erano ancorate le vasche in cui l’acqua cadeva generosa. Ora è secca e muta. Come le bocche del lavatoio, più in basso, le cui pietre biancheggiano levigate dalle mani di una catena infinita di donne, lavandaie. Ai lati del catino due alvei, anch’essi ormai prosciugati. Quello a sinistra riforniva l’Asciatizzi, l’unico corso perenne del Gargano. Oggi è scomparso alla vista. Incanalato, rubato da un impianto di depurazione, non salta più, spumeggiante come un tempo, da 450 metri al mare con corso brevissimo. Né fa più girare le pale di ben 9 mulini che lo accompagnavano fino all’ultimo: Mulino di mare. In passato l’Asciatizzi è stato di vitale importanza anche per quegli uomini, di un alto medioevo ferrigno che, spaventati dalle continue incursioni piratesche, si nascondevano nelle campagne intorno. Ed è stato in seguito la vita anche per quel grappolo di casupole, Civita , primo nucleo di Vico affacciato sulla valle.

Per raggiungere la Fontana uomini e animali scendevano e poi, attinta l’acqua, arrancavano per un erto e faticoso tratturo. L’ abbondanza, la preziosità, ma anche la malia dell’acqua, devono aver ispirato, un culto e forse anche la nascita di templi. Non se ne sono rinvenute tracce, ma il geografo Strabone (63 a.C.-23 d.C.) ne accredita l’esistenza nei suoi scritti.

Dunque la valle dell’Asciatizzi e le sue acque sono state un grembo primigenio di vita, di storia, investite, nell’immaginario popolare, di una sacralità purificatrice. Trascorsi i secoli, tra Seicento e Settecento, il luogo si rivestì di una nuova spiritualità con l’edificazione della chiesa dedicata alla Vergine, Pura, e di un cimitero che nel ricordo ancora commuove: delle vergini e dei fanciulli.

Nello stesso periodo l’Asciatizzi e le altre sorgenti, l’ambiente climatico felicemente predisposto dalla natura e una circostanza storica fortuita cambiarono l’agricoltura. E, a catena, il paesaggio delle campagne, l’economia e la società di Vico . La circostanza fu data dall’arrivo del portogallo ad opera, si ipotizza, dei Portoghesi. Non era il frutto già conosciuto dalle Crociate e dai pellegrinaggi alla Grotta dell’Arcangelo: il melangolo, ovvero l’arancio amaro. Che era un pomo bello da vedere, e da far vedere nei pesanti vassoi delle mense ricche …. , così evocativo del sole, dell’oro….ma sfortunatamente dal sapore brusco fino alle lacrime. Il nuovo frutto era al contrario zuccherino. Buono. Molto. Si incominciò a coltivarne la pianta e a creare con uno sforzo immane i primi agrumeti. Con essi nascevano i giardini. E i giardinieri. Figure nuove, queste. Non più solo caparbi contadini, ma anche uomini via via sempre più ricchi di nuovi saperi esperenziali: regolatori delle acque e artefici di manufatti: canali, conche ….. affioranti ancora oggi qua e là nel terreno. Il passaggio non fu né rapido né leggero. Niente Stato, niente capitali, niente macchine! Generazioni di contadini si spaccarono schiena e braccia unicamente con l’aiuto di sempre: asini, muli e cavalli. Fu addomesticato un territorio di boscaglie e macchia intricata. I terreni aspri, di balzi, valloni, spuntoni rocciosi furono ammansiti. Terra e rocce frantumate con le mine vennero trasportate per alzare, colmare, spietrare e innalzare frangiventi e macère. Sono queste ultime i monumenti più significativi di uno sforzo epico. E identificativi di un paesaggio. I contadini-giardinieri esercitarono, inoltre, un ammirevole senso della collettività nella giusta e condivisa ripartizione delle acque, superando anche conflitti ricorrenti con i mugnai. Applicarono ingegno nella rigorosa geometria disegnata dai canali grandi e piccoli che dissetavano le piante: una sorta di albero della vita ruscellante. Alla fine il paesaggio, non parcellizzato in poderi o campi come altrove, ma in giardini dal verde declinato in sfumature diverse, comunicò rigoglio e bellezza. E portò benessere. Possiamo immaginare lo stupore di chi arrivando dal Tavoliere affocato e siccitoso, si sia trovato immerso in un’oasi di frescura e salubrità. In un tempo in cui la malaria falcidiava impietosamente la gente garganica più che altrove, in alcuni agrumeti nascevano o si rianimavano casali come Canneto, dove i bambini mangiavano pane, arance e …… aria buona.

Di questa trasformazione epocale di un’economia, di una società e di un paesaggio, sia rurale che urbano, insostituibile protagonista fu l’acqua dell’Asciatizzi e di altre sorgenti minori. E il luogo delle acque in cui sacralità, pietà popolare, fatica e storia sono simbolicamente raccolte in un abbraccio rotondo è Santa Maria Pura.


prof.ssa Ivana Schiaffi di Monte




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