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Storia della famiglia de Petris (prima puntata)

Riceviamo e pubblichiamo

Aggiornamento: 19 ore fa

NONNA CHECCHINA E LE SUE FAVOLE

Storia della famiglia de Petris (prima puntata)

In via de Petris, contrada San Marco, in un lontano 1869, il 27 di aprile, nasceva da una nobile stirpe, la primogenita de Petris Francesca Maria. La madre, Lucatelli Gentilina, molto gracile di costituzione, affidò a questa piccola creaturina il compito di custodire e di allevare una numerosa nidiata di sorelle e fratelli. Lei era la capostipite responsabile del livello morale ed economico di tutta la famiglia. E ne fu all’altezza!

Dai suoi racconti riesco a ricostruire vari episodi della sua infanzia. Appena i suoi piedini raggiunsero i pedali del telaio, le insegnarono a tessere le lenzuola per i corredi delle sorelle. Ella doveva districare i fili nel pettine e metterli nello steso, l’ordito, a regola d’arte: “Nel cominciare me ne vorrei scappare, nel finire me ne vorrei fuggire”, questo era il detto di ogni tessitrice, perché nell’iniziare e nel finire una tela ci voleva un’arte da certosino e lei era l’unica a saperla porre in essere.

Per alcune ore del giorno restava confinata tra le sbarre del pesante telaio di legno e ne traeva sottili panni di lino, arabesche elaborazioni per tovaglie da tavola, panni in lana per i vestiti e per bardare cavalli e asini per trasportare le nobili donne. Tutto era affidato al suo estro creativo e ne era maestra e consigliera anche per le sue amiche.

Ma era pur sempre una bambina! E il tempo per il gioco?

Una volta con il suo fratello preferito, Nicolino, eludendo la sorveglianza dei genitori, si arrampicarono fino al solaio e con un coltello affilato tagliarono un’intera pelle di cuoio vaccino per costruirsi delle scarpe, riducendola a brandelli e a lunghe listarelle. Poi, con i sandali ottenuti, forza a saltare la tarantella a più non posso! I genitori che riposavano in un vano sottostante in una calda giornata d’estate, nel sentire quello sfrenato terremoto sonoro, accorsero silenziosamente e videro l’intero patrimonio di cuoio andato in fumo sotto ai piedini dei due ballerini uniti nella tarantella! Anche una bambina saggia sapeva divertirsi!

Le sue agili manine si destreggiavano tra il fuso e la conocchia. Per filare la canapa bisognava prima scegliere le fibre dalla risca, poi, tenendo sempre una fava in bocca, mentre il fuso ronzava, si bagnava un dito con la saliva per dare maggiore elasticità al filato. Quindi le fave erano preziose per filare la canapa e certamente più saporite se precedentemente arrostite!

Quando alle sue dita veniva affidato un vello di lana di pecora iniziava una lunga scelta per la cardatura. Le fibre morbide venivano districate con infinita pazienza dalle spine, dai grumi di letame e di erbe appiccicose e pian piano ne veniva fuori una cannula uniforme, pronta per essere filata con facilità da mani agili ed esperte.

Mia nonna sapeva tessere, filare e cardare la lana con rara maestria!

E intanto arrivavano le sorelline: Beatrice, la più simpatica e allo stesso tempo la più cavillosa della nidiata de Petris, che andò in sposa a Giovanni Calderisi, impiegato all’anagrafe comunale e sempre presente nella mia famiglia in ogni occasione. Di lei conservo come ricordo tangibile una camicia da notte in percalle con pizzo, un braccialetto d’argento ed una lunga catenella da legare al ventaglio: cari ricordi che hanno accompagnato gli ornamenti della mia giovinezza.

In ordine cronologico giunsero altri fratelli: Carmine, Giuseppina, Vincenzella e Gaetano. Si alternavano varie balie ad ogni nascita, ma il compito del controllo dei fratelli e della loro crescita sana era sempre riservato a lei, la primogenita, perché era la maggiore e la madre era soggetta a frequenti coliche epatiche, durante le quali bisognava tenere a bada i fratellini nel silenzio più assoluto e nella preghiera.


Francesca Cerulli





 
 
 

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