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Il cannone di Vico, Blitz e la «500» blu...

La memoria abitata conserva ricordi indelebili e ci proietta in luoghi del cuore tanto cari quanto malinconici.

Negli anni ‘70 la salute dei cittadini era affidata ai pochi medici di famiglia presenti nel paese, valenti chirurghi con un notevole bagaglio di conoscenze.

Spesso erano chiamati ad intervenire in situazioni anche gravi, armati della sola esperienza e privi di mezzi diagnostici di un certo livello. Il loro lavoro era prezioso e molte volte la tempestività della cura, evitava guai peggiori.

Un po’ tutti gli dobbiamo riconoscenza.

Alla fine di corso Umberto, prima di giungere a «Fuoriporta», una delle piazzette più importanti del secolo scorso, fa bella vista di sé un grande portone in legno all’ingresso di un elegante e imponente palazzo che ha ospitato sino a non molti anni fa, lo studio del mio primo medico: l'indimenticato dottor Mario Maroni.

Già Ufficiale medico della Marina Militare, sempre elegante, sobrio, autorevole, essenziale nella conversazione, il dottor Maroni sapeva regalare sorrisi e sicurezza, specialmente in noi piccoli pazienti, tra aghi e fili sempre pronti a ricucire le «ferite» che, nell’età della spensieratezza, era facile procurarsi.

Salire di corsa le scale, sedersi nella sala d’aspetto in attese interminabili, la ricetta stretta in mano per un ritorno a casa veloce o un salto nella farmacia Di Palma a pochi passi dalla strada, sono momenti che resteranno impressi nella mente e nel cuore.

Ma la grande curiosità insieme all’oggetto dei desideri di un giovane adolescente alle prese con i primi libri di storia, era e rimane tuttora legata ad una grande arma da guerra all'interno del palazzo: il cannone!

Quel famoso e intoccabile cannone che ogni ragazzo di Vico ha visto o sentito nominare.

Sembrava enorme, maestoso, come la nostra immaginazione...

Passavo spesso di lì per svariati motivi, per comprare il pane da «Nginsch», il forno storico di Fuoriporta o per «vedere» le prime radioline in vetrina in un negozietto gestito da una gentile signora, sede oggi di una pizzeria dove è possibile gustare la famosa "paposcia."

Tutte le scuse erano buone per dare una sbirciatina al cannone con il portone sempre aperto...

«Il famoso cannone in realtà è un Obice 75/13 Skoda 7.5 cm Vz1915 ed era in dotazione all'esercito austro-ungarico che lo usava come artiglieria da montagna durante la Grande Guerra soprattutto sull'Altopiano del Carso contro l'Italia. Alla fine del conflitto alcuni esemplari furono acquisiti come preda bellica da parte dell'esercito Italiano e rinominati Obice 75/13 mod. 15. Utilizzato anche durante la Seconda Guerra Mondiale è rimasto in servizio fino al 1964. Dopo pochi anni il Ministero della Difesa li ha resi inutilizzabili e venduti all'asta. Uno è venuto ad abitare con noi nel portone e dal 1969, se non sbaglio, non si è più mosso e continua a farci compagnia.

Alcuni anni fa ne ho visto uno identico nel Parco della Rimembranza che sorge ai piedi del Sacrario Militare di Redipuglia vicino Gorizia».

La puntuale e chiara descrizione di Pietro, mio amico di lunga data, figlio del compianto dottor Mario, a distanza di cinquant’anni, mi proietta indietro nel tempo, soddisfa le mie domande e mette fine alle tante fantasiose ipotesi formulate ed ascoltate.

La verità però, non potrà mai cancellare i sogni ad occhi aperti di un bambino, che narrava leggende impensabili e sfidava con il pensiero le potenze mondiali, forte di quello «strumento» da guerra nel portone del suo dottore.

Se la storia non si può cancellare, non saranno certamente le tastiere di oggi e i post sui social a farmi dimenticare, oltre al cannone che è sempre lì immobile a guardia del paese, il cane pastore e la «500» blu del mio dottore.







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