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Immagine del redattoreFrancesco A. P. Saggese

L’alba del 6 aprile

Francesco A.P. Saggese


Queste sono le domande che mi ponevo tra me e me 11 anni fa, il mattino del 6 aprile del 2009.

Alle 3.32 di quello stesso giorno un violento terremoto si portava via oltre trecento persone tra l’Aquila e molti paesi vicini.

Migliaia furono gli sfollati.

Erano le stesse domande del 2002, quando un terremoto in Molise provocò il crollo della scuola elementare di San Giuliano di Puglia, facendo 30 vittime di cui 27 bambini.

Ancora le stesse domande appena qualche anno fa, nel 2017 e nel 2016, quando nel centro Italia morirono 303 persone; come pure nel 2012 in Emilia Romagna, quando altre 27 persone se ne andarono per sempre.

Com'è possibile che nel cuore dell'Europa e della civiltà si muoia così, sotto le macerie della propria casa?

È davvero solo colpa del terremoto?

È sempre tutto colpa di una dannata fatalità che piomba assassina di notte?

O navighiamo ancora a vista, cavalcando l'onda dell'emergenza, mettendo una pezza qua e là?

Quante volte ancora dobbiamo ripeterci che il nostro territorio è ad alta pericolosità sismica?

Quanta lungimiranza doveva avere chi ha governato e chi governa e non ha avuto?

Quanti morti dobbiamo ancora piangere?

Quante macerie dobbiamo ancora rimuovere?

Quanti centri storici dovranno ancora essere rasi al suolo?

Quanta paura dobbiamo ancora avere quando dormiamo di notte nei nostri letti, o quando i nostri figli sono a scuola?

Stiamo costruendo un Paese migliore, rispettando il territorio su cui camminiamo e viviamo, edificando con sapienza e mettendo in sicurezza ciò che non lo è mai stato?

Queste sono le domande che mi pongo ancora oggi, all’alba di un giorno ancora buio e che ha visto accendere sui balconi delle case degli aquilani migliaia di candele, per illuminare una notte di undici anni fa che ha portato con sè, dolore e sofferenza, e appena qualche risposta, ancora troppo poco per l’alba serena che questo Paese merita.




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