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Tempo di Natale...

Tempo di Natale, i ricordi della tradizione di Nicola Parisi


Il Natale è festa di noi Cristiani, nella quale facciamo lieta memoria della nascita di Gesù Cristo nostro Signore; è difficile, oggi, viverla nello spirito di Fede trasmesso dalla pietà popolare, che nel tempo si è fatta interprete del Vangelo.

Le tradizioni popolari hanno elaborato i tempi della festa, durante il volgere dell’anno, e fra questi, assume particolare rilievo il Tempo di Natale.

A Vico del Gargano come in tanti paesi del nostro Gargano, in ogni luogo del meridione e dell’intera penisola, questo momento magico aveva inizio con la festa dell’Immacolata Concezione A Cuncett’ a Natale i dicessette.

Le melodie eseguite dagli zampognari, giunti dal vicino Molise, facevano vibrare nell’aria e nei cuori un’atmosfera che faceva pregustare l’arrivo di Gesù Bambino.

Già il sei dicembre, San Nicola, s’inziava a scandire i giorni, mancanti all’evento della nascita del Redentore e immancabilmente, in queste ricorrenze, la sera si accendevano i fuochi.

I falò erano replicati anche a Cuncett’ e poi ancora in occasione dellla festa di S. Lucia, la tredicina di giorni mancanti a Natale. Nel dì tredici aveva inizio la previsione empirica del tempo meteorologico dell’anno venturo i Calenne (le Calende).

Osservando la variazione dei fenomeni atmosferici fino al giorno dell’Epifania i contadini presumevano il bel tempo o la pioggia nei mesi dell’anno a venire. I primi dodici giorni stavano a indicare il tempo della prima quindicina del mese, riprendeva la conta dei giorni dal 26 dicembre all’Epifania, indicativi per la seconda quindicina.

L’Epifania ogni festa porta via, ma qualche coda dell’aria di festa restava ancora se il proverbio di chiusura dice a sant’Antun lutme pettel’ e prim’maccarunu; la ricorrenza di sant’Antonio Abate segnava il trapasso dal tempo di Natale caratterizzato dalle pettole al tempo di carnevale dove si mangiavano i maccheroni fatti in casa conditi con il ragù di maiale.

Andando in cerca nella tradizione, scoviamo una ricchezza d’iniziative legate alla religiosità, come alla vita in famiglia in una realtà sociale basata su solidi valori trasmessi da una generazione all’altra. Ai grandi presepi realizzati nelle chiese con maestria per opera di appassionati cultori, si affiancava l’usanza in tutte le famiglie, di costruire il Presepe.

In modo artigianale, si fabbricavano casette, graticci, pecorelle e i diversi personaggi con la creta rossa estratta nelle pendici delle colline della Maddalena.

Le pietre rigososamente dovevavo essere quelle belle della Grotta Penta (una cavità carsica rinomata); il muschio, i soppt’, possibilmente della valle del Reco con le felci a palmetta.

L’albero era diffusamente costruito utilizzando un bel ramo di corbezzolo nnancul già adorno di bacche rosse, in sostituzione delle palline, buone da mangiare.

La sera della Vigilia, il Borgo si animava di processioni offerte dalle Confraternite: un confratello vestiva una giacca ricavata dalla pelle di pecora, recava il Bambinello, accompagnato di fedeli che intonavano canti natalizi dellantica cantata dei pastori.

I motivi musicali ancora oggi cantati nelle nostre chiese, durante il periodo di Natale, hanno un fondamento popolare e si apprendono con facilità.

Tutti i canti da Tu scendi dalle stelle, Fermarono i cieli a Quanno nascette Ninno - che si ascrivono a S. Alfonso Maria de Liguori- a quelli adattati nella nostra cultura popolare come la Ninna nanna u Bammenedd', Teretupet uscì na stella (una versione locale di tu scendi dalle Stelle), Maria lavav' e Sono ricci i tuoi capelli, Gasparre e Baldassarre, costituivano un’efficace forma di apostolato.


Teretupet uscì na stella

E Teretupet uscì una stella

Il mondo s’alluminò

Pastor che la guardò

Quella stella che sarà

E li pastur’che,

In campagna stavan

E l’un n’facc all’autr

C’ guardavn

C’ stiv nu paise

Chiamat’ Galli

Scciuretten li vign

E facìcevn l’uva


Gasparre e Baldassarre…

Gasparre e Baldassarre

E Melchiorre

Facevn la capann’

A la Madonn’

E zomp li grilli’

E pure li strill’

E vann’ zumpann’

D’ qua e d’ là

Dicenn jè nat’

Je nat’ i’ ver’ Dio

Ch’ c’ha criat’


La famiglia partecipava unita alla Messa della Natività il Matuttino. Spettava al capo famiglia, prima di uscire da casa, sistemare due bei ceppi nel camino affinche il fuoco si mantenesse vivo, e permettesse a san Giuseppe, passando da quella casa, di asciugare i panni di Gesù Bambino. Sulla tavola si lasciava un piattino con un piccolo dolce della tradizione, appositamente chiamato u crustul du Bammenedd’.


Il passaggio dal vecchio al nuovo anno era caratterizzato dal momento di festa rigorosamente in casa fra parenti e amici, alla mezzanotte nell’euforia degli auguri c’era la voglia di sbarazzarsi di quanto negativo era successo nell’anno da lasciare alle spalle; un’usanza non molto civile era quella di gettare in strada la roba di cui disfarsi.


L’arrivo dei Magi era salutato con una Messa dell’Aurora e le famiglie accorrevano portando i loro piccoli al così detto Matut’nedd. Nella festa dell’Epifania, manifestazione del Signore alle genti, il Bambinello a cura delle Confraternite visitava le famiglie del quartiere e in particolare, quelle case, dove vi erano anziani o malati che non potevano recarsi in chiesa.


I giorni passavano e le donne di casa già pensavano agli aspetti culinari, il baccalà da dissalare per la Vigilia, da consumare fritto, in minestra con cavolfiore oppure al forno con patate, u rot’ cotto lentamente sui carboni sotto e sopra; altre pietanze a base di pesce si accompagnava a queste nelle case del ceto borghese.

Non mancavano i dolci, crustl ripieni con pasta reale fatta di mandorle e zucchero oppure con una pasta di noci e vincotto di fichi doviziosamente preparato nella stagione estiva. Si preparavano ancora, struffl’ e caucuncedd’, dei fagottini ripieni con pasta di ceci o marmellata di amarena. La preparazione di queste prelibatezze era un vero rito al quale partecipavano tutti: le donne rendendo l’impasto in strisce sottili in forma circolare con piccoli incavi, nel così detto attunnà. I bambini ai quali era delgata la sistemazione dei dolci, in genere, sull’unico ampio ripiano, costituito dal letto matrimoniale.

Agli uomini spettava preparare la legna secca per alimentare il fuco del camino durante la delicata attività della frittura. Ed ecco il momento di preparare il ripieno dove il giusto dosaggio degli ingredienti, sanciva l’ottimo equilibrio dei sapori.

Che festa era in famiglia, Eh che buone queste prelibatezze.

Lo scambio di auguri fra parenti o conoscenti veramente stimati era sempre accompaganto dal buono che si produceva in famiglia, i dolci in prima fila, accompagnati da una bottiglia di moscato o da una cesta di rance’ tost (dei tarocchetti a buccia liscia, una primizia).

Fra comari l’assaggio dei dolci era fatto, di solito, anche per primeggiare.

Ai confini del sacro si colloca spesso la supertizione: una credenza racconata dai vecchi diceva: chi nasceva la notte di Natale, diventava “lupomannaro”.

Quanto raccolto, offerto al lettore, costituisce solo una parte del patrimonio culturale di un mondo assai lontano dal Natale com’è inteso oggi, intriso di luci, tecnologia e consumismo; effimero, privo di quel profumo di amore e pace che Gesù Bambino ci invita a diffondere.


Nicola Parisi






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